L’autobiografia di Mario Corso


Tiri mancini.

«In una ideale classifica mi colloco tra i primi dieci calciatori europei della mia epoca, al fianco di campioni di talento anche se con diverse caratteristiche come Di Stefano, Suarez, Sivori, Cruijff, Bobby Charlton, Eusebio… e tra i primi cinque italiani, vale a dire Rivera, Bulgarelli, Mazzola, Riva e anche Burgnich». Così orgogliosamente si definisce Mario Corso, calciatore dal 1957 al 1975, con 414 partite (e 75 gol) nell’Inter e 23 presenze in Nazionale. Soprannominato “il sinistro di Dio”, perché con quel piede sapeva imprimere alla palla traiettorie imprevedibili e vincenti. Il suo era un calcio tutto “mancino” ed ecco quindi spiegato il titolo dell’autobiografia, edita nel 2013 da Limina e scritta assieme all’amico Beppe Maseri, giornalista sportivo per anni inviato del quotidiano Il Giorno. Spesso, chissà perchè, i calciatori mancini rivelano una più marcata vena pittoresca ed appaiono come veri e propri artisti del pallone, capaci di stimolare acutamente la sensibilità dei tifosi. Per come gli esperti ne parlano, e per come lui stesso si descrive, Mario Corso rientra di diritto in questa categoria di “eletti”.

Ricordi schietti.

E’ stato colonna dell’Inter, squadra del cuore sin dalla tenera età, con cui ha fatto incetta di trofei negli anni Sessanta del Novecento. Nel suo libro, il grosso del racconto riguarda proprio quell’epopea a tinte nerazzurre: tre scudetti, due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali. Un dominio estesosi ben oltre i confini dello Stivale. Corso tocca solo di sfuggita le partite più significative, descrivendo più profondamente i suoi legami all’interno della squadra. Emergono ricordi molto interessanti, in particolare sull’allenatore Helenio Herrera, un uomo dalle mille risorse e dalle mille vite: di origini argentine, naturalizzato francese, adottato in Spagna, mitizzato in Italia (morto nel 1997, è sepolto a Venezia). Un personaggio davvero particolare, che Corso ritrae con grande sincerità mettendo sul piatto pregi e difetti. Tutta l’autobiografia è pervasa da una schiettezza spiccata, difficilmente l’autore rifiuta commenti più scomodi o si para dietro discorsi di circostanza.

Ritratti storici.

Verso la fine del libro, l’ex calciatore veste anche i panni del giornalista stilando le sue pagelle, con valutazioni numeriche e giudizi sommari per tutti gli ex compagni di squadra. Non a caso, dopo la lunga carriera da calciatore e allenatore, Corso si è riciclato come osservatore girando il mondo a caccia di nuovi talenti, sempre per gli amati colori nerazzurri. La narrazione, ben sostenuta dal coautore Beppe Maseri, si dipana sintetica ma precisa, e il lettore potrà ricostruire con esattezza i protagonisti della “Grande Inter” (appellativo ufficiale). Non si parla solo di giocatori e allenatore: tra le righe c’è spazio anche per il presidente Angelo Moratti, così simile in alcuni dettagli al figlio Massimo, che a sua volta comanderà la società trent’anni dopo. E senza dimenticare Italo Allodi, abilissimo dirigente che contribuì in maniera determinante a forgiare e gestire quel gruppo storico. Io, l’Inter e il mio calcio mancino si rivela dunque un libro appagante dal punto di vista tecnico, con apprezzabili escursioni sul lato emotivo ed umano. Nonché il miglior ricordo di quel bel pezzetto di calcio che è stato Mario Corso. Uno che persino il grande Pelé chiamava “professore”.

Perché leggere Io, l’Inter e il mio calcio mancino di Mario Corso (con Beppe Maseri):

perché è un bel tuffo nel calcio degli anni Sessanta; perché riporta a galla, con semplicità e chiarezza, fatti e protagonisti importanti.



Titolo:
Il, l’Inter e il mio calcio mancino
Autore: Mario Corso (con Beppe Maseri)
Editore: Limina
Anno: 2013
Pagine: 161

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