Le verità di un arbitro scomodo


Se c’è una cosa che nel calcio mette tutti d’accordo, questa è certamente l’essenza dell’arbitro: cornuto (per essere gentili). Del resto, questa figura ricopre un ruolo tanto delicato quanto complicato, equilibratore in un mondo di estremismi, di passioni coinvolgenti e travolgenti, di polarizzazioni quasi violente nella loro natura. Per questo Claudio Gavillucci ha intitolato il suo libro L’uomo nero (pp. 156, Chiarelettere, 2020): colui che spaventa, il “cattivo”. Un ossimoro, più che un titolo, se si considera che invece il direttore di gara è chi dovrebbe portare ordine e giustizia in mezzo alla battaglia e che di nero, tradizionalmente, ha soltanto la divisa. Un gioco di richiami che diventa anche, in qualche modo, il filo rosso da seguire nella narrazione.

Un libro-inchiesta.

Gavillucci, infatti, è il primo arbitro che, una volta posato il fischietto (sebbene non per sua volontà, ed è un elemento che non va dimenticato durante la lettura), decide di aprire il vaso di Pandora sul mondo dei direttori di gara del massimo campionato italiano, il più bistrattato da tifosi e moviolisti di turno. Ne nasce un libro che si trova a metà strada tra l’autobiografia e l’inchiesta, con questa seconda anima nettamente predominante. Grazie al supporto di due bravissime giornaliste di cronaca giudiziaria quali sono Manuela D’Alessandro (che lavora per l’agenzia di stampa Agi) e Antonietta Ferrante (firma dell’agenzia di stampa Adnkronos), Gavillucci parte dalla sua vicenda personale per arrivare ad analizzare tutti i lati oscuri dell’Aia, l’associazione degli arbitri. E lo fa con documenti ufficiali, testimonianze e carte giudiziarie.

Dove tutto ha inizio.

L’autore de L’uomo nero sa di cosa scrive. Per cinque anni, infatti, ha diretto in Serie A, fino al giugno 2018. È stato allora che l’Aia, con decisione unilaterale, lo ha dismesso dalla lista dei fischietti del massimo campionato. Gavillucci era balzato agli onori delle cronache, non soltanto sportive, poche settimane prima della sua “bocciatura”, quando divenne il primo arbitro a sospendere una partita di Serie A per cori razzisti: decise di interrompere la sfida tra Sampdoria e Napoli per gli insulti della tifoseria blucerchiata nei confronti del difensore partenopeo Kalidou Koulibaly. Fu quella decisione, lascia intendere Gavillucci nelle pagine del libro, a costargli la carriera da arbitro di primo livello. O almeno pensa, dato che non ha mai ricevuto una spiegazione chiara e limpida per la sua dismissione. Proprio per questo il direttore di gara di Latina ha avviato una battaglia legale mediaticamente cruenta con l’Aia, diventata poi il punto di partenza del libro.

Le ombre del mondo arbitrale.

Nelle pagine, sono tanti gli aspetti meno noti del mondo arbitrale che Gavillucci svela. Si va dalla gestione complessiva della squadra dei fischietti ai loro stipendi, dai metodi di valutazione alle graduatorie interne, fino ad arrivare ai giochi politici, le inefficienze, la disorganizzazione, l’utilizzo (o non utilizzo) del Var e il peso di media e grandi società. I documenti pubblicati (numerosi), mettono in luce un sistema antistorico, figlio, come troppo spesso accade in Italia, di una burocrazia fine a se stessa che premia poco il merito e pesa invece troppo tutto ciò che dovrebbe essere soltanto contorno. In questo quadro più giornalistico che narrativo (che spiega anche la pubblicazione del libro con un editore come Chiarelettere, specializzato proprio in inchieste), Gavillucci destina l’ultima parte del libro anche alla sua storia, alla sua scalata dai campi di provincia alla Serie A, alla sua caduta, agli aneddoti di campo raccolti in anni di esperienza.

Quell’eccessivo protagonismo.

L’uomo nero è un libro che sazia la curiosità degli appassionati e che solletica il sottopancia dei complottisti pallonari. A tratti non si può fare a meno di simpatizzare per Gavillucci, che appare quasi come un eroico combattente solitario contro un sistema elefantiaco e idrovoro; altre volte, invece, il suo atteggiamento narrativo scade in un’inutile sicumera rivestita di falsa modestia che appesantisce il tutto. Il continuo dipingersi come un Davide contro Golia infastidisce un po’, togliendo al lettore lo spazio necessario (a mio parere) affinché ognuno si costruisca la propria opinione. Da scrittore, Gavillucci fa un errore che nessun arbitro dovrebbe mai commettere: pecca di protagonismo.

Perché leggere L’uomo nero:

perché racconta un mondo che, finora, nessuno aveva avuto il coraggio di raccontare.



Titolo:
L’uomo nero
Autore: Claudio Gavillucci (con Manuela D’Alessandro e Antonietta Ferrante)
Editore: Chiarelettere
Anno: 2020
Pagine: 156

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