Alla scoperta del “Chino” Recoba


Se si dovesse abbinare il Chino Recoba alla letteratura, forse il paragone più calzante sarebbe con Gabriel Garcia Marquez. Il realismo magico della mirabile penna colombiana non è poi così lontana dalle traiettorie balistiche che il calciatore uruguagio disegnava sui campi. Una bellezza abbacinante in entrambi i casi, uno stile unico, irripetibile e inimitabile, la bellezza decadente di eroi votati eternamente alla sconfitta. Ecco, Dimmi chi era Recoba, libro edito da inContropiede e scritto dal giornalista Enzo Palladini, non può certo essere paragonato a un romanzo di Marquez, ma ha il pregio di raccontare questa estetica nostalgica del Chino.

Il rimpianto di Recoba.

L’elemento da cui parte Palladini per raccontare questo calciatore quasi mitologico nella sua incompiutezza è il rimpianto. Il rimpianto di ciò che poteva essere e non è mai stato. Un ragazzetto toccato dal dio del pallone che poteva essere tante cose ma che non è stato nessuna di esse. Il rimpianto, però, va a braccetto con una certezza, ovvero che «se Recoba avesse giocato il doppio delle partite e segnato il doppio dei gol, non sarebbe stata la stessa cosa». Dimmi chi era Recoba ripercorre con pragmatismo la carriera di un calciatore difficile da inquadrare. E l’analiticità, in questo caso, è un pregio. Perché parlando e scrivendo di Recoba la strada più semplice sarebbe quella del divagare.

Genio e pigrizia.

Invece non accade. Palladini mette ordine laddove non c’è mai stato. E spiega che chi definisce Recoba, con eccesso di superficialità, emblema del “genio e sregolatezza”, in realtà non lo conosce. Genio sì, sregolatezza poca. Il Chino (il cui nome completo è Alvaro Alexànder Recoba Rivero), semmai, è genio e pigrizia. Poca discoteca (troppa fatica ballare e fare tardi), poco alcol (meglio il succo di mela verde Pfanner), tanto cibo spazzatura e videogiochi. Recoba è sguardo smaliziato, zazzera ribelle, denti “coniglieschi”, maniglie dell’amore e, soprattutto, un mancino divino. Potenza e precisione insieme, roba da spellarsi le mani a ogni tocco. In fondo, è bastato questo al Chino per diventare il pupillo di Massimo Moratti.

Le luci e le ombre.

Il bello di Dimmi chi era Recoba è che non scade nella poetica e nel banale elogio. Non si fanno sconti al Chino, personaggio che, forse, ha molti più difetti che pregi (in termini calcistici). Ovviamente buona parte del libro si concentra sugli anni interisti di Recoba, su tutto quel potenziale inespresso, sui fraintendimenti tattici, sui rapporti complicati con gli allenatori. In mezzo, i sei mesi a Venezia, dove tra gol e assist il Chino regalò ai lagunari una salvezza insperata pur allenandosi non più di tre volte a settimana, perché di trasferirsi da Milano non ne aveva proprio voglia. E ancora: la parentesi di “calciatore più pagato al mondo” con quei 15 miliardi di Lire l’anno che Moratti gli concesse in seguito al capolavoro strategico messo in piedi dal procuratore Paco Casal con l’aiuto della Juve; i palloni lanciati per farlo correre almeno un po’; le madonnine che si porta con sé ovunque; il caso passaporti; le dichiarazioni avventate. Il Torino, il Panionios, il ritorno al Danubio e la chiusura al Nacional per vincere (finalmente) da protagonista.

E quindi che era Recoba?

Al di là di Recoba, ci sono anche gustose “finestre” («tracce aggiuntive») su altri protagonisti del calcio uruguagio. In particolare su Paco Casal, procuratore del Chino così come di praticamente tutti gli altri calciatori suoi connazionali, ricco da far paura e padre-padrone del calcio celeste, tanto da detenerne anche i diritti tv; creatore della formula “compra uno, paghi due”, con cui per ogni buon giocatore venduto a una squadra riusciva a rifilare alla stessa (e non proprio a prezzi di saldo) anche un brocco. Tutto però, alla fine, torna al Chino. Quel giocatore che , pur essendo lontanissimo dall’immagine (oggi inflazionata) della garra charrùa, è riuscito a diventare leggenda. Quel calciatore scazzato, quasi presuntuoso, eterno Peter Pan. Ma anche un ragazzo sensibile, emotivo, sincero. Di questo ritratto in parole del Chino, resta la sicurezza che mai titolo poteva essere più azzeccato. Perché il Chino può indagarlo quanto vuoi, ma non potrai mai incasellarlo. È poesia, è bellezza, è incostanza, è letteratura.

Perché leggere “Dimmi chi era Recoba” di Enzo Palladini:

perché amare il calcio è molto più di un pallone che rotola. E Recoba lo dimostra.


Titolo: Dimmi chi era Recoba
Autore: Enzo Palladini
Editore: Edizioni InContropiede
Anno: 2017
Pagine: 127


Per leggere l’intervista all’autore di Dimmi chi era Recoba clicca qui.

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