Chiacchierata con gli autori di Mi chiamavano Tatanka

Tiziano Marino è un giovane giornalista che nel 2019 ha pubblicato per Baldini+Castoldi Purosangue, autobiografia del ciclista Damiano Cunego. Per Dario Hübner non basterebbero poche righe per presentarlo, ma per lui facciamo parlare i gol: capocannoniere di serie A, B e C1, rispettivamente con Piacenza, Cesena e Fano. Assieme hanno scritto Mi chiamavano Tatanka, edito sempre da Baldini+Castoldi. E proprio su questo libro ci hanno rilasciato un’intervista:

Da dove nasce l’idea di questo libro?

Tiziano Marino
: «Dopo essermi cimentato nell’autobiografia di uno dei miei idoli ciclistici, Damiano Cunego. volevo realizzare un altro mio sogno scrivendo quella di uno dei miei idoli calcistici: Dario Hübner. Grazie ad alcune conoscenze in comune sono riuscito a mettermi in contatto con lui. L’ho chiamato spiegando ciò che avevo intenzione di fare e una volta ottenuto il suo benestare ci siamo messi subito al lavoro».

Dario Hübner: «Appena Tiziano mi ha chiamato non era molto di mio gradimento l’idea, pensavo fosse una cosa pesante. Io infatti non sono un grande fan di programmi televisivi ed interviste. Poi Tiziano mi ha proposto di metterci su un tavolino all’aperto a casa mia con un registratore e che io gli raccontassi la mia vita e la mia carriera. Devo dire che alla fine è stata una cosa divertente e positiva».

Che tipo di lavoro avete fatto?

TM: «Ci incontravamo una volta alla settimana a casa di Dario o nel giardino di un ristorante a lui tanto caro – “Rosetta”, lo stesso che viene citato all’interno del libro – e ogni volta per un paio di ore lui ripercorreva parte della sua vita. Registravamo tutto e poi pranzavamo assieme. Anche i vari pranzi si sono rivelati molto importanti ai fini del libro perché molti aneddoti sono saltati fuori proprio tra un boccone e l’altro. Pranzi a parte, ho raccolto materiale audio per 12 ore».

Cosa ti ha più colpito ti Dario?

TM: La sua semplicità, che è poi la stessa che l’ha reso uno dei calciatori più amati della storia del calcio italiano.

Secondo te come mai un personaggio così fuori dagli schemi del “calciatore star” in un mondo mediaticamente già in evoluzione ha fatto così tanto breccia tra i tifosi?

DH: «Anzitutto perché giocavo in una provinciale, non lottavo per lo scudetto e tante persone tifano per le cosidette squadre minori. Poi perché la mia è stata una carriera semplice: quando uno parte dalla Prima Categoria e fa un gradino alla volta fino alla A è una strada fatta di cose semplici conquistate sul campo, di partite fatte bene con il lavoro. Io non ho vinto il biglietto della lotteria e sono arrivato in serie A. Il mio percorso è simile a quello di uno che lavora che inizia come apprendista e poi magari diventa proprietario della ditta».

C’è a tuo parere oggi un personaggio nel panorama calcistico che lo ricorda? 

TM: «Come dice lui stesso, quello che più gli somiglia oggi è il Gallo Belotti. A livello di narrativa del personaggio però sono convinto che non esisterà mai più un altro Dario Hübner».

Qual è l’esperienza sportiva e umana che ti ha dato di più?

DH: «Di tutte le esperienze mi è rimasto qualcosa sia a livello calcistico che umano. A Cesena ho conosciuto sia il presidente Lugaresi che tante persone con le quali mi sento tutt’oggi e così anche a Brescia dove sono entrato in contatto sia con amanti del calcio che con profani del pallone, e lo stesso vale per Mantova, Piacenza, Pergocrema, Fano e tutte le altre piazze. Dove ho giocato mi sono sempre allaciato a tante persone semplici e stupende e per questo le metto tutte sullo stesso piano. Sono persone che entrano a far parte della tua storia e dei tuoi ricordi: sono miei amici».

Da un punto di vista di racconto sportivo qual è l’episodio della carriera di Hübner a cui sei più affezionato e perchè? 

TM: «Il suo esordio in Serie A, alla quale ho deciso di dedicare un capitolo a parte. Quelle 24 ore vissute da Dario – dalla vigilia al fischio finale – sono una vera delizia per i cuori di ogni sportivo».

I gol a cui sei più affezionato? E il partner offensivo con cui ti sei trovato meglio?

DH: «Non ho un gol in particolare. Ricordo gol fatti in tutte le piazze dove sono andato, perché ti restano: ad esempio con il Pergocrema ho debuttato alla prima giornata nei Professionisti facendo gol. Poi sono andato a Fano e Brescia e ho contribuito con le mie reti a far vincere il campionato, a Piacenza capocannoniere all’ultima giornata lo ricorderò sempre. Certo il gol a San Siro con l’Inter è particolare, ma ricordo volentieri anche un gol con il Mantova fatto di tacco. Di gol ne ho fatti tanti e mi hanno portato tante soddisfazioni, dirne uno mi pare riduttivo».

«Anche a livello di compagni d’attacco ho sempre giocato con tanti calciatori con cui si è formata una bella intesa: mi ricordo il famoso triangolo di Cesena con Dolcetti e Scarafoni, tre giocatori ma sembravamo uno solo. A Brescia ho avuto Stroppa, mentre a Piacenza con Novellino avevo dietro un certo Paolo Poggi che mi apriva la strada della porta. Cito loro ma io credo che quando un attaccante fa gol il merito vada diviso con tutti gli altri compagni. Se penso a Piacenza c’erano anche i Di Francesco e i Gautieri, a Brescia i gemelli Filippini o Biagioni. Tanti bravi giocatori che mi hanno messo in condizione di fare gol».

Secondo te che ruolo può avere la letteratura sportiva nel 2020?

TM: «Com’è facile intuire, sono tra i fan più accaniti della letteratura sportiva. Credo siano pochissime le cose nella vita che permettono di raccontare l’essenza dell’uomo con semplicità: e lo sport, con le storie dei suoi eroi e anti-eroi, è sicuramente uno dei veicoli più efficienti, anche nel 2020».

Pensi che lo sport abbia qualcosa da insegnare?

DH: «Secondo me bisogna stare concentrati su quello che ti è chiesto in quel momento, divertendoti. Io ho iniziato a giocare in Prima Categoria per divertirmi, l’ho fatto con passione e cuore senza immaginarmi mai un domani in serie A. Se qualcuno mi avesse detto fra 10 anni sei a giocare a San Siro contro Ronaldo lo avrei preso per pazzo. Però ho sempre giocato con la voglia di far bene e vincere perché in Prima Categoria non ti allenavi per migliorarti tatticamente bensì per divertirmento. Non ho mai pensato di diventare un giocatore di serie A. Poi è logico che, gradino dopo gradino, inizi ad allenarti in maniera diversa tendendo sempre a migliorarti; ma anche quando ero in C2 non pensavo alla serie A. Arrivato poi a 25 anni nel calcio che conta, in serie B a Cesena, fai qualche ragionamento diverso (anche se all’epoca chi arrivava a 31 anni smetteva di giocare) ed in 5 anni sono riuscito ad arrivare nella massima serie. Tutto questo però pensando anno dopo anno, non come i bambini di oggi che giocano nei Pulcini e dopo tre partite i genitori fantasticano sul loro futuro in serie A».


Per la recensione di Mi chiamavano Tatanka, clicca qui.



Titolo:
 Mi chiamavano Tatanka
Autore: Dario Hübner con Tiziano Marino
Editore: Baldini Castoldi
Anno: 2020
Pagine: 198

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