Racconti di un calcio che non c’è più


«Tutto ciò che so sulla moralità e sui doveri degli uomini, lo devo al calcio» dice Albert Camus ed è la citazione più inflazionata nelle introduzioni dei libri di sport. Il problema è che non c’è davvero modo migliore per dirlo. La pensa così anche Eraldo Pecci e ce lo racconta nel suo libro Ci piaceva giocare a pallone. Racconti di un calcio che non c’è più.

Ah, da quando Baggio non gioca più.

Questo che avete davanti è un libro intriso di nostalgia, i suoi capitoli ci accompagnano – con l’espediente del dialetto bolognese, dell’episodio divertente, della battuta inaspettata – non solo attraverso un calcio che non c’è più, ma attraverso un’Italia che non c’è più. Accompagnati dai suoi aneddoti, vediamo dal finestrino quello che eravamo, la provincia italiana (cioè l’Italia), il divertimento d’altri tempi, che poteva veramente essere solo un pallone. L’autenticità di un Paese alle prime prese con la modernità, tentativi goffi e ingenui, fatti sempre a modo nostro «una volta si scioperò perché c’erano troppi scioperi».

Un ragazzino.

Lo sguardo di Pecci è profondo, dentro ci sono la vita, la storia del calcio e l’esperienza. Ma è brillante: possiamo immaginarlo quasi sorridere mentre ricorda il massaggiatore Ulisse Bortolotti che «In panchina sedeva accanto all’allenatore ed era buffo quando, in un momento tirato della partita, all’errore di uno di noi gridava: “Creten te e chi t’fa zugher” (cretino te e chi ti fa giocare). Il Petisso (Bruno Pesaola) lo guardava e sorrideva». O commuoversi, quando racconta del portiere Claudio Garella, «che parava tutto ciò che c’era da parare, a volte qualcosina di più, ma lo faceva usando spesso i piedi, l’addome, il sedere, le gambe», tutte le parti del corpo utili: «Un giorno, prima di scendere in campo contro la Fiorentina, Giovanni Galli si avvicina a Luciano Castellini, allenatore dei portieri del Napoli, e gli chiede: “Ma glielo hai detto a Claudio che, se la prende con le mani, non è rigore?”» Possiamo avvertire il suo spaesamento, che ci confessa quando racconta del trasferimento al Toro e scrive «sono tutti di fuori, di posti dove come si dice “pirla” nemmeno lo so».

Non è più domenica.

È impossibile non sorridere ad ogni pagina di questo libro, perché Pecci ha delle idee sempre allegre ed è così che ci convince a seguirlo, con il sorriso costante che accompagna la lettura. Allo stesso modo è impossibile non sentire una forma obbligata di rispetto crescere davanti una vita cosi gigantesca, insieme a una strana sensazione, che potrebbe essere commozione oppure quello strano peso di certe domeniche, quando va tutto bene, però.

Perché leggere Ci piaceva giocare a pallone di Eraldo Pecci:

per passare – con i racconti di calcio – un po’ di ore con i nostri genitori e i nostri nonni da giovani.



Titolo:
Ci piaceva giocare a pallone. Racconti di un calcio che non c’è più
Autore: Eraldo Pecci
Editore: Rizzoli
Anno: 2019
Pagine: 254

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