Ritornare all’inutile bellezza per salvare il mondo


Cosa c’è di più bello dell’inutilità? Per certi versi, è l’inutile che distingue noi umani dagli altri animali. L’evoluzione ci ha resi soggetti in grado non soltanto di sopravvivere, ma di vivere. E nell’atto della vita, l’inutile rappresenta la sublimazione del nostro essere, il passaggio da un qualcosa di fisico a un qualcosa di metafisico. Calcisticamente parlando, l’emblema dell’inutilità è la finta. Il gioco di gambe, il perculamento (nobile, ma non sempre) dell’avversario, l’estetica al servizio (ma non per forza) dell’utile. Non stupisce dunque che Olivier Guez, scrittore, sceneggiatore e apprezzato giornalista francese, abbia deciso di dedicare addirittura un saggio a questo atto calcistico: Elogio della finta (Neri Pozzi, pp. 106).

Garrincha come Nietzsche.

Come l’oltreuomo (o il superuomo) ha in Nietzsche il suo padre riflessivo, così la finta ha in Manoel Francisco dos Santos, in arte Garrincha, il suo narratore. Non creatore, perché la finta, così come il concetto di oltreuomo, già esisteva. Semplicemente Garrincha gli ha dato un forma nuova, una sua esplicazione al mondo. Elogio della finta non è un viaggio nel calcio che fu, ma un vero e proprio mini-saggio filosofico attraverso il quale Guez narra come la creatività, la fantasia e l’estro possano essere una forma di salvezza. Dagli altri, ma anche e soprattutto dalla bruttezza. Perché forse la bellezza non salverà il mondo (ci permettiamo di contraddire Dostoevskij, che non a caso scrisse questa frase ne L’idiota), ma certo aiuta ad affrontarlo.

Una danza di sopravvivenza.

La cosa bella di Elogio della finta è, innanzitutto, il fatto che non sia l’ennesimo, inutile libro su Garrincha. No, Garrincha è soltanto un mezzo, la leva che Guez utilizza per sollevare il mondo e mostrarci ciò che realmente nasconde. Il dribblatore pazzo e geniale del Brasile probabilmente più forte della storia è stato soltanto il prodotto di un’evoluzione storica e sociale. L’autore spiega, infatti, che la finta nacque in Brasile per un semplice motivo: i primi giocatori di colore necessitavano di sfuggire agli attacchi sul campo degli avversari bianchi, padroni nella realtà quanto nella fantasia del campo da gioco. Non potevano reagire, non potevano rispondere alle botte con le botte; così fuggivano, ma con eleganza, con maestria. La finta è una danza di sopravvivenza e Garrincha ne divenne interprete per lo stesso motivo: dribblava perché la natura non gli aveva dato altro modo di superare l’avversario di turno. Il dribblatore non è altro che la trasposizione calcistica del malandro, un dandy ante litteram che si muoveva nella società calpestando il sottile confine tra l’illegalità e l’eticamente riprovevole.

Cinica e poetica disillusione.

Lo schema che applica Guez nella prima metà del libro, diventa applicabile a qualsiasi altro elemento socio-calcistico del mondo. Un declino della fantasia. Anzi, l’assassino della fantasia. Gli schemi, i due tocchi e via, finanche il guardiolismo tanto elogiato sono la morte della finta, dell’inutilità al servizio dell’utilità, dell’estetica e della pura bellezza. Ronaldinho, Robinho, Neymar: ormai eccezioni, spesso criticate per la loro incapacità di andare al sodo, per il loro fuggire dall’utile. Ma proprio quello è l’habitat della finta. Invece no, il mondo si è evoluto e con esso il pallone. Bisogna andare dritti al punto, costi quel che costi. La bellezza non salverà al mondo semplicemente perché non esiste più. C’è amarezza, nel racconto di Guez. C’è soprattutto cinica disillusione. Ma anche la speranza (e forse la consapevolezza) che nulla può scomparire per sempre. E così Guez narra che Zico, in Giappone, andava su tutte le furie perché i giocatori non si discostavano mai e poi mai dalle sue direttive, non parevano in grado di trovare la scintilla in grado di appiccare l’incendio. In sostanza, lo scrittore crede nell’essenza. E l’essenza del Brasile è il dribbling: può morire Garrincha, perdere la Nazionale verdeoro, ma nella loro anima la finta resterà un frammento di Dna. Per sempre.

Perché leggere Elogio della finta di Olivier Guez:

non sarà la bellezza a salvare il mondo, ma saranno la spontaneità, la creatività, la fantasia, l’inutilità. L’unicità e la sua paradossale ripetizione. Saranno loro a salvare il calcio, e quindi anche il mondo.


Titolo: Elogio della finta
Autore: Olivier Guez
Data: 2019
Casa editrice: Neri Pozza
Pagine: 106

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