Il romanzo sui giorni romani di Mané Garrincha


È bello quando un libro regala una sorpresa. È il caso di Garincia (161 pagine, Edizioni inContropiede) di Jvan Sica, che parla di calcio e di uno dei più poetici protagonisti di questo sport, ma che in realtà col calcio c’entra poco. Garincia è un romanzo puro, un divertissement in cui Sica, che è blogger ma soprattutto autore teatrale, unisce la sua vena creativa alla sua passione pallonara dando vita a un’opera che cammina sul labile confine tra quel che è stato e quel che potrebbe essere accaduto. Tra storia e immaginazione, Garincia si inserisce in uno spazio interessante e ancora poco esplorato dalla letteratura sportiva italiana.

Chi era Garrincha.

Come si intuisce, protagonista di questo libro è Manoel Francisco dos Santos, per tutti semplicemente Mané Garrincha, fenomenale ala destra del Brasile di Pelè e del Botafogo, campione del mondo nel ’58 in Svezia e in Cile nel ’62. Un fuoriclasse casuale, nel senso che il suo stile di gioco funambolico fu figlio più del caso che della volontà: affetto da diversi problemi fisici (spina dorsale deformata, uno sbilanciamento del bacino, sei centimetri di differenza in lunghezza tra le due gambe), i suoi difetti congeniti gli permisero di dare vita a uno stile di gioco e a una capacità di movimento mai visti prima, che lo resero imprendibile per la maggior parte dei suoi avversari. Figlio del nulla (era di famiglia poverissima), il calcio gli ha dato tutto. E lui ha sperperato quel tutto (soldi, talento e vita) tra donne e alcol.

Più sceneggiatura che romanzo.

Protagonista già di per sé di una vita da romanzo, Garrincha nel libro di Sica assurge a personaggio iconico. Garincia racconta i giorni (che in realtà furono anni) romani del fenomeno brasiliano, quando a fine carriera e in cerca di una nuova dimensione, scappò dal Brasile (e dai vari figli sparsi per il mondo, i debiti, i nemici politici e i sensi di colpa) con la seconda moglie Elza Soares, cantante. Da qui il titolo del romanzo, storpiatura romanesca del suo nome. E da qui il turbillon di personaggi “macchietta” che lo circondano, con dialettismi che infarciscono i numerosi dialoghi che lasciano trasparire la formazione teatrale dell’autore, che a volte pecca di eccessivo uso del parlato rendendo il libro più una sceneggiatura che un romanzo.

Il confine tra immaginato e reale.

Anche perché il lato più bello di Garincia è quando il contorno lascia spazio a Manè, ai suoi contrasti interiori, alla sua infantile purezza che è stata costretta a scendere a patti col mondo uscendone irrimediabilmente sconfitta, annegata in un bicchiere di cachaça o di qualsivoglia liquore. Manè è un depresso alcolizzato che non si capacita di come non basti correre dietro a un pallone per essere davvero felici. È un innamorato «del pallone e della fica» che non si rende conto della reale complessità della realtà. Attraverso incontri, dialoghi ed espedienti narrativi, Sica inserisce nel suo panorama immaginario sprazzi di storia vera, tipo le partite giocate con le formazioni dilettantistiche di Roma e dintorni, le telefonate anonime di minaccia, le sbronze finite a dormire sui marciapiedi tra vomito e incontri con transessuali dal cuore grande.

Un’idea bella ma incompiuta.

In Garincia, narrazione e reale si mischiano, si sporcano vicendevolmente, cancellano i confini l’una dell’altro. Ne nasce un’opera interessante, certamente nuova, ma incompiuta. È come se Sica, a un certo punto, abbia avuto il timore di andare fino in fondo, di trasformare compiutamente un personaggio storico in un personaggio letterario. La trama scorre, ma manca di un pizzico di coraggio. O irriverenza e sana ingenuità, caratteristiche che hanno reso Garrincha, allo stesso tempo, fenomeno e derelitto.

Perché leggere Garincia di Jvan Sica:

perché è un libro di sport dove in realtà è l’abisso umano a diventare protagonista.



Titolo:
 Garincia
Autore: Jvan Sica
Editore: Edizioni InContropiede
Anno: 2018
Pagine: 161

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