La dimostrazione che il calcio è un’emozione seria


«Per la legge delle probabilità, ogni domenica un pancione bolso che passa le giornate al pub segna un gol splendido quanto quelli dell’inarrivabile Pelé e del possente Bobby Charlton. Può accadere ovunque e se si sa aspettare abbastanza succederà praticamente dappertutto. È questo il bello del calcio: qualche momento sublime, molti episodi ridicoli, e tutto ciò che sta nel mezzo tra i due opposti». È questa la citazione che meglio rappresenta Il mio anno preferito (Guanda, pp. 252, 2006), antologia di racconti curata da Nick Hornby. Quello di Febbre a 90’, per intenderci; lo scrittore che è riuscito a regalare al calcio una condizione pop-culturale che mai aveva avuto prima.

Il legame con Febbre a 90′

Come detto, Il mio anno preferito non è un romanzo. E non è neppure un racconto autobiografico come invece era Febbre a 90’. È, piuttosto, uno spazio senza tempo nel quale dodici persone (più una, Hornby appunto) aprono una finestra sui loro ricordi indissolubilmente legati al pallone. Il legame con Febbre a 90’ è evidente, si può dire che il punto di partenza sia lo stesso (il tifo come una delle poche certezze della propria vita), eppure il fatto di unire diverse voce crea un libro dal sapore diverso, atipico.

La (bella) idea di fondo

Certo, l’amore per il calcio resta l’elemento primo. Ma da dove scaturisce questo sentimento? Quando e perché scocca la scintilla? È la normalità del pallone il segreto, sembra dire Hornby. La sua semplicità, il suo essere parte di tutti noi. Ed è da questa idea che nasce Il mio anno preferito: narrare l’annata irripetibile, inimitabile, inarrivabile, indimenticabile di una squadra che ha ci trasformati in una massa di odiosi, faziosi, parziali tifosi. Così scopriamo che per Roddy Doyle, autore di Una stella di nome Henry, il più bel ricordo calcistico è legato ai Mondiali ’90 vissuti in un pub di Dublino; oppure che anche tifare una formazione di seconda divisione scozzese come i Raith Rovers regala emozioni uniche. E così via, in un susseguirsi di improbabili stagioni emozionanti di squadre “piccole” come Watford, Norwich City, Bristol City, Swansea City e St. Albans City, e squadre meno piccole, come Chelsea, Leeds United, Sunderland e Charlton. Il culmine, come è giusto che sia, lo si raggiunge con il racconto di Hornby. Lo scrittore lascia da parte il suo amore per l’Arsenal e lega invece i suoi ricordi alle imprese del Cambridge United ’83/’84, che in quella stagione raggiunse il poco invidiabile record di 31 partite consecutive senza vittorie fino all’inattesa vittoria contro il Newcastle.

Il calcio è sacro

Ironia, nostalgia, magia e disincanto sono la malta che tiene insieme i racconti presenti nella raccolta. Il mio anno preferito è l’ennesima prova della potenza del calcio nella sua componente artistica o, meglio ancora, sacrale. Il calcio non è solo un gioco, è molto di più. C’è chi si ricorda il primo bacio grazie anche a un gol del suo attaccante preferito e pone sullo stesso piano le due emozioni. Non è follia, è semplicemente cuore. Ed è semplicemente bello così.

Perché leggere Il mio anno preferito di Nick Hornby:

perché è la risposta a tutti coloro che vi chiedono cosa ci troviate di tanto bello e appassionante in ventidue persone che rincorrono un pallone.


Titolo: Il mio anno preferito
Autore: Nick Hornby
Editore: Guanda
Anno: 2006
Pagine: 252

Lascia un commento





Ti potrebbe interessare anche

volevo-solo-giocare-a-pallavolo

Volevo solo giocare a pallavolo – Silvia Biasi

Niente teste di cazzo

12 libri di sport dal mondo per la giornata mondiale del libro

mazzola

Il terzo incomodo – Ferruccio Mazzola

Coppi-ultimo-–-Marco-Pastonesi

Coppi ultimo – Marco Pastonesi

Condividi
Acquista ora