La scalata del Nanga Parbat, la “montagna nuda”

Un basco, un pakistano, un’altoatesina e un italiano. Non è una barzelletta e nemmeno una favola, è storia vera. I quattro personaggi sono gli alpinisti che, tra fine 2015 ed inizio 2016, hanno organizzato la spedizione vincente sulla vetta del Nanga Parbat, in Pakistan. La “montagna nuda” o la “montagna assassina”, un’immensità di 8126 metri. Nessuno, prima di loro, era riuscito a salirci sopra nella stagione invernale e tantomeno in modalità alpina, ovvero senza scorte di ossigeno ed altri strumenti di supporto. Nemmeno una leggenda delle nevi come Reinhold Messner ce l’aveva mai fatta, pur avendoci provato (sulla montagna è comunque rimasta una strada che porta il suo nome). Simone Moro è uno dei “fantastici quattro” di cui sopra, nonché uno degli alpinisti più famosi al mondo. Il Nanga Parbat era da sempre un suo obiettivo. Aveva già provato a scalarlo in inverno, imparando a conoscere quel massiccio inespugnabile su cui diversi suoi colleghi hanno purtroppo trovato la morte.

Attesa.

Perché più che di sport, di vittoria o sconfitta, è di questo che si parla: vita e morte. Come Moro spiega molto bene nel suo libro (Nanga, prima edizione BUR 2016), lassù la natura non fa sconti a nessuno. L’inverno himalayano è un’esperienza nemmeno immaginabile per i “comuni mortali”. Le temperature e gli agenti atmosferici dettano legge e l’unico modo per provare a cavarsela è quello di adeguarsi, aspettando i momenti più adatti per muoversi. Non a caso, “rispetto” e “pazienza” sono due parole ricorrenti nel racconto di Simone Moro, fin dal sottotitolo in copertina. Per il protagonista e i suoi compagni di viaggio una chiave è stata proprio il saper attendere, lasciando “sfogare” la montagna ma senza mai rinunciare al sogno, nemmeno di fronte agli inevitabili imprevisti.  Ogni giorno un passo, anche indietro se necessario. Fino all’occasione giusta, arrivata alla fine di febbraio: un’insolita finestra di bel tempo, sei giorni di sole e venti “sopportabili”, l’ideale per tentare l’attacco decisivo all’agognata vetta.

Ritmo.

Il libro riflette bene l’attesa e tutte le tappe del percorso, dalla fase di preparazione fino all’obiettivo finale. È un testo lungo, perché scollina le 400 pagine, ma diviso in tanti (86) capitoli molto brevi, di circa quattro-cinque facciate ciascuno. Tale impostazione, quasi in modalità diario di bordo, conferisce un bel ritmo alla narrazione rendendo la lettura veloce e soprattutto coinvolgente. Moro non lascia molto spazio ai tecnicismi, disponendo i fatti in rapida successione: il lettore non ha dunque il tempo di annoiarsi, ed anzi potrà appassionarsi alla storia pur conoscendone già l’esito. Anche perché non manca la componente introspettiva: il racconto è punteggiato dalle emozioni dell’autore di fronte alla natura e dai pensieri sulle persone che lo accompagnano. O che l’hanno accompagnato e oggi non ci sono più, come il suo più grande amico Anatoli Boukrev, morto in una spedizione del 1997. Come Daniele Nardi, altro grande alpinista, che compare in questo libro con un ruolo controverso. E come Ali Sadpara, pakistano, uno dei quattro che fecero la storia in cima al Nanga, il 26 febbraio 2016, poco dopo le 15:30. Cinque anni più tardi è sparito salendo il K2, ed ora guarda Simone Moro e i suoi colleghi da lassù, da quel cielo che aveva già toccato in vita.

Una lunga intervista a Simone Moro.

Perché leggere Nanga di Simone Moro:

perché ci permette di vivere da “vicino” un’esperienza storica ed estrema; perché fa riflettere sull’attrattiva, la profondità (anche emotiva) e la drammaticità dell’alpinismo.


Titolo: Nanga
Autore: Simone Moro
Editore: BUR
Anno: 2016 (terza edizione febbraio 2020)
Pagine: 294

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