30 avventure negli stadi più belli del mondo

Tra i tanti aspetti negativi della pandemia, qualcosa si salva. A dire il vero, è più un appiglio a cui aggrapparsi in quei momenti di sconforto, quando l’umore è in caduta libera e la solitudine a cui tanti sono costretti appare come uno scivolo in fondo al quale nessuno sa cosa troverà. Stiamo parlando dei ricordi. Istanti rimasti lì, incastrati in noi e mai rimossi, che il nostro cervello (e il nostro cuore) talvolta ci lancia a mo’ di salvagente. Ed è proprio sui ricordi che si basa Porte aperte (Baldini+Castoldi, 2020, pp. 240) del grande giornalista, oggi opinionista, Paolo Condò.

Genesi social.

È lo stesso Condò, nell’introduzione al libro, a definire l’opera una raccolta di «cronache di un tempo sospeso». I trenta racconti – di questo, in fondo, si tratta – sono infatti nati nei mesi del duro lockdown della primavera 2020, quando Condò, un po’ per combattere la noia e un po’ per dare sfogo creativo alla propria penna, iniziò a pubblicare su Twitter, quasi ogni giorno, dei thread (una specie di storia costruita con più tweet collegati tra loro) dedicati di volta in volta a uno stadio diverso da lui visitato nella sua lunga carriera da giornalista sportivo. In realtà, a ogni stadio Condò abbina un aneddoto, una “fotografia” mentale. Qualcosa di suo, tirato fuori dai cassetti dei ricordi per l’appunto. Ed è stato proprio questo il segreto di «uno stadio al giorno» (così rinominò quella rubrica il giornalista). Porte aperte è il risultato di quegli appunti cinguettanti, rivisti e risistemati, ampliati, adattati al formato del libro, che si presenta come un volume bello anche da esporre in libreria, con la sua copertina rigida colorata e, all’interno, tantissime foto e illustrazioni. Gli stadi raccontati sono trenta, metà già narrati su Twitter, i restanti invece “svelati” per la prima volta.

Autobiografia in 30 stadi.

Il risultato finale di questo rimestare tra i ricordi dell’autore è una sorta di viaggio-autobiografia, perché Condò traccia un percorso, quello della sua vita professionale, che lo ha portato negli impianti sportivi più belli così come in quelli più remoti del mondo (tipo l’Avanhad di Pripyat, a due passi da Chernobyl), svelando anche i retroscena della vita di un giornalista che fu, quella figura ormai (ahinoi) mitologica dell’inviato sul (e dal) campo. Quello di Condò è un bagaglio professionale enorme perché arricchito dalle emozioni, quelle che magari nei centinaia di articoli che ha scritto non hanno trovato spazio e che invece si sono prese il loro meritato spazio in Porte aperte. Di corde emotive, tra le pagine del libro, se ne toccano tante. C’è la nostalgia, sicuramente; c’è l’ironia (i ringraziamenti in apertura sono una vera chicca, stupendi); ma c’è anche un tocco di malinconia, un pizzico di amarezza talvolta, tanta passione.

Il regalo perfetto.

Per apprezzare appieno l’opera bisogna fare un passo oltre l’idea che si ha, filtrata dalla tv (oggi, ieri dai giornali), dell’autore. Non è un’opera di giornalismo, per niente. Però si parla di giornalismo. O meglio, del giornalista. È come se Condò, scrivendo Porte aperte, si fosse fatto un regalo emotivo, che solo di conseguenza – volontaria, è chiaro – diventa un regalo anche per noi. Per questo è il libro perfetto da regalare a un appassionato (non a caso è uscito sotto Natale 2020), ma anche ai più giovani, ai bambini e ai ragazzini che si stanno timidamente approcciando alle emozioni sportive. In tal senso, il titolo è quanto mai azzeccato, perché le porte aperte a cui si fa riferimento sono sì quelle degli stadi raccontati, ma anche di un mondo che non esiste più. E non soltanto, purtroppo, per la pandemia.

Perché leggere Porte aperte di Paolo Condò:

perché è un libro che, in un tempo sospeso, è in grado di farci evadere. E poi perché è proprio bello dal punto di vista estetico.


Titolo: Porte aperte. 30 avventure negli stadi più belli del mondo
Autore: Paolo Condò
Editore: Baldini+Castoldi
Anno: 2020
Pagine: 240

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