La storia di un grande ciclista

La biografia che Federico Falcone dedica al ciclista Vito Taccone ci porta su e giù per i monti della Marsica. Di più: ci ricorda i saliscendi di una vita imperiosa e gli slanci di un carattere indomito. Dopo aver tracciato le coordinate di quella terra, tra miserie e calamità, l’autore ci accompagna ad Avezzano, dove Vito Taccone è nato e vissuto con la propria famiglia in condizioni di estrema indigenza. Povertà dura e schiacciante, fucina del suo temperamento d’acciaio, a prova di sfide e di imprese impossibili. Costantemente mosso dalla volontà di resistere, dalla forza di reagire e dalla fermezza di non indietreggiare. Di fronte a niente e a nessuno. Non a caso l’autore, raccontando il cammino sportivo del “camoscio d’Abruzzo”, non fa cenno alla sua formazione, a preparatori, a tecniche o a particolari allenamenti. Ce ne spalanca il puro talento: tutto grinta e passione. Fin dalla tenera età la sua palestra era la campagna e il pascolo. Le attrezzature per irrobustire i muscoli, gli utensili da lavoro; e, al più, una vecchia bicicletta con cui consegnava nei paesi delle sue alture il pane del forno presso cui lavorava. Perfino il tempo libero e il divertimento, per volere del papà, dovevano essere dedicati alla stalla. La molla della sua vita – del superamento di “quella” vita – era innanzitutto la fame, insieme all’infinita venerazione per i genitori e alla gratitudine per i compaesani che in ogni modo gli venivano in aiuto. E che, una volta intrapresa la carriera ciclistica, hanno continuato a sostenerlo e a tifare per lui.

Il riscatto.

Taccone ha avuto ragione dell’inedia, degli stenti e di un’ambizione oggettivamente proibitiva per un ragazzo nelle sue condizioni. Del tutto preclusa a chi come lui non possedeva un fisico propriamente atletico. Ma non si è né intimorito né avvilito. Nemmeno quando nel 1961, approdato al professionismo a 21 anni, si è trovato al cospetto dei mostri sacri di allora: Anquetil, Nencini, Rik Van Looy, Gaul. Si è anzi fatto subito notare per la caparbietà e la determinazione, oltre che per i buoni risultati. Nel Giro d’Italia del 1963, ad esempio, collezionò cinque vittorie di tappa, quattro delle quali consecutive. L’autore annota con precisione i momenti del suo periodo agonistico: vittorie e piazzamenti esaltanti, ma anche episodi incresciosi dovuti alla sua personalità ribelle. Ne sanno qualcosa i colleghi con cui ha fatto a cazzotti nel bel mezzo di qualche gara. Taccone era una sorta di «bomba ad orologeria», sanguigno e istintivo, ma al tempo stesso, come confermano i suoi amici che nel libro prendono la parola, schietto e generoso, riconoscente e altruista.

Il valico fatale.

Lui, il “ciclista del Sud”, catalizzava l’entusiasmo dei tanti tifosi dell’Italia centrale e meridionale. Considerato il simbolo del riscatto che, a dispetto della propria situazione di partenza e di chi lo snobbava, è riuscito a imporsi e a collocarsi tra i grandi dello sport. Consenso e notorietà ulteriormente accresciuti grazie alla sua costante partecipazione al programma televisivo Processo alla tappa, ideato e condotto da Sergio Zavoli, che prevedeva un collegamento quotidiano dalle località di arrivo di ogni tappa del Giro. Trasmissione fresca e popolare come Vito che, dopo aver terminato la corsa, ne diventava l’opinionista e il mattatore assoluto: i telespettatori riconoscevano in lui l’emblema di uno sport genuino e sano, tutto sudore e fatica. Non a caso il Processo ha chiuso i battenti praticamente quando Taccone si è ritirato dalle corse. E, purtroppo, come sappiamo, i processi per lui non erano finiti. Con quanti più dettagli possibile, infatti, la parte finale libro illustra la pesante vicenda giudiziaria che lo ha investito, fiaccato e consumato. La tesi sostenuta con convinzione dall’autore è che si sia trattato di grave e palese malagiustizia. Al campione (che era stato) e all’imprenditore (che era diventato) fu fatale «l’ultima invalicabile salita». Il suo fisico, pur avvezzo alla lotta, non ha retto all’ennesima sfida. Colpito nella dignità e nella reputazione, aveva cercato di difendersi con tutte le sue forze. Ma per una volta, l’ultima, invano.

Perché leggere Vito Taccone. Il camoscio d’Abruzzo di Federico Falcone:

per ripercorrere la carriera del grande ciclista nelle sue tappe fondamentali e nello specifico contesto sociale; per accostare una personalità forte, capace di riscattarsi da una condizione di vita proibitiva; per ritrovare le tante voci di apprezzamento e di stima di giornalisti sportivi dell’epoca e di suoi ex colleghi.


Titolo: Vito Taccone. Il camoscio d’Abruzzo
Autore: Federico Falcone
Editore: Radici Edizioni
Anno: 2022
Pagine: 155

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