I 44 giorni di Brian Clough alla guida del Leeds United


Vedete quegli occhi? Sono gli occhi di Brian Clough. Quel grandissimo, geniale, mediaticamente inarrivabile Brian Clough. Sono gli occhi di una leggenda, di un uomo ubriaco dopo l’ennesimo bicchiere di scotch e con le meningi ancora pulsanti per la rabbia causata da quei «fottutissimi scansafatiche» dei suoi giocatori. Il Maledetto United (2009, ed. Il Saggiatore, pp. 416) non è nient’altro che questo: un viaggio nella testa di uno dei più grandi e leggendari personaggi della storia del calcio, un viaggio che David Peace narra con una penna che sembra posseduta dall’egocentrismo e dall’isteria di un uomo che rimarrà per sempre nella storia del calcio.

Un libro duro.

Si tratta di un libro che richiede silenzio, ché regala già troppi suoni di suo. Quelli dei campi di periferia, quelli che si sentivano (immaginiamo) su di un campo di allenamento trenta, quaranta, cinquant’anni fa, quando il calcio era ancora una palla che rotolava e attorno a essa c’erano ventidue uomini a darsi battaglia per tirargli semplicemente un calcio che la mandasse dritta in rete. È un libro duro come una scivolata dritta sulla caviglia, come una gomitata nel costato mentre fai a spintoni su di un corner. È un libro duro perché duro era il calcio inglese di quegli anni e perché Clough era un uomo duro, di quelli che dalla panchina chiedevano, cercavano sangue e fango per sentirsi vivo. E per lui la vita era il calcio.

I quarantaquattro giorni di Clough.

Non è una biografia Il Maledetto United, bensì un romanzo scritto meravigliosamente con parole che sanno di erba in bocca dopo l’ultimo contrasto, un romanzo che regala attimi di scintillante follia narrativa. Racconta, istante dopo istante, i quarantaquattro giorni più lunghi della vita del manager inglese, i quarantaquattro giorni che più ha odiato e più ha ripudiato, i quarantaquattro giorni in cui ha provato a trasformare il suo odio in passione, il suo incubo nel suo sogno. I quarantaquattro giorni di Clough al Leeds United, lo «sporco, sporco, maledettamente sporco Leeds». E questo è il “presente” della narrazione. Ma non c’è presente senza passato, e così Peace inserisce continui flashback, accecanti, dei giorni in cui Clough è divenuto “Cloughie”, l’allenatore rialzatosi dalla depressione e dall’alcolismo conseguenza dell’infortunio che pose fine alla sua carriera da goleador. E il contrasto che si crea è poetico: l’oggi e lo ieri, l’inquietudine e la pace, la passione e il malessere, la capacità di rialzarsi e quella di autodistruggersi. Questi continui uno-contro-uno assumono le fattezze, nel racconto di Peace e nella mente di Clough, del contrasto tra il protagonista e il suo predecessore, il mitico Don Revie, plasmatore del mito United. Clough era un ripiego, perché Revie se ne andò per la Nazionale dei Tre Leoni, ma un ripiego non lo voleva essere. Ed ecco che inizia la sua guerra, una guerra sporca e infame perché combattuta contro nemici immaginari. Don Chisciotte contro mulini a vento.

Un romanzo decadente.

Leggendo Il Maledetto United si vive in una costante attesa, quella del momento in cui l’odio si trasforma in amore. Ma quella catarsi non giunge mai. È come se Clough (o meglio, Peace) ponesse il lettore davanti alla dura verità: l’odio non può diventare amore, mai. La possibile consacrazione, la ricerca del capolavoro, si trasforma nella sconfitta più scottante, nella caduta più fragorosa, nel fallimento di un allenatore e di un uomo che pensava di essere infallibile e intoccabile. Il romanzo non narra volutamente gli storici e leggendari anni di Clough al Nottingham e altrettanto volutamente lascia sullo sfondo, fuori fuoco, i giorni di gloria al Derby. Questo è un romanzo decadente sulle sconfitte e sugli sconfitti, sulle notti insonni, sulle sbronze, sulla solitudine, sui fantasmi. Non è un caso se Peace, negli anni in cui scrisse Il Maledetto United (2006), fu inserito dalla rivista letteraria Granta tra i venti migliori romanzieri britannici under 40 del decennio (titolo che si conquistò anche grazie ai quattro romanzi precedenti, quelli della cosiddetta quadrilogia Red Riding Quartet; vette narrative che, però, negli anni successivi non è più riuscito purtroppo a toccare): lo scrittore è bravissimo a dipingere, con uno stile tagliente, violento, nervoso e isterico, il protagonista e la sua anima. Questo libro non è la coppa alzata al cielo, ma lo stadio vuoto dopo l’ennesima sconfitta. Il Maledetto United sono gli occhi, incazzati e disperati, di un uomo che guarda le sue stesse macerie.

Perché leggere Il Maledetto United di David Peace:

perché il Times lo ha definito «il più grande romanzo mai scritto sullo sport», ma anche perché è uno dei più bei romanzi sulla rabbia e sulla sconfitta.


 
Titolo:
Il Maledetto United
Autore: David Peace
Anno: 2009
Editore: Il Saggiatore
Pagine: 416

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