Chiacchierata con l’autore di Daniele De Rossi o dell’amore reciproco

Daniele Manusia, nato a Roma nel 1981, ha fondato e dirige l’Ultimo Uomo, rivista digitale dedicata allo sport. Dopo aver pubblicato nel 2013 il libro Cantona. Come è diventato leggenda per add editore, nel 2020 ha dato alle stampe per 66thand2nd Daniele De Rossi o dell’amore reciproco sul quale verte la nostra intervista.

I protagonisti del libro sono due, Daniele De Rossi e l’amore. Possiamo dire che c’era bisogno di raccontare la storia di De Rossi perché nel calcio d’oggi c’è bisogno di dare spazio all’amore?
«In effetti penso che sia un aspetto della vicenda che passa spesso in secondo piano, che si dà per scontato o che si considera magari “retorico”. Ma che un calciatore sia in grado di creare un legame affettivo con i propri tifosi, con la squadra di cui indossa la maglia (e con il gioco del calcio, aggiungerei) dovrebbe essere considerata una qualità come quelle atletiche e tecniche. Ha conseguenze meno dirette sulle prestazioni della squadra ma non è detto che sia inutile, a creare uno spirito veramente solidale, a spargere l’idea in squadra che ci sia una ragione più grande per giocare che non il personale successo sportivo ed economico di ognuno. Dal punto di vista dei tifosi, poi, è semplicemente indispensabile. E penso che per questo la storia di De Rossi è significativa anche per i tifosi “non romanisti”, perché ci parla di qualcosa che sta diventando raro ma di cui tutti riconosciamo l’importanza».

All’inizio del libro spieghi che non hai voluto parlare con famigliari, amici o allenatori di De Rossi, perché la sua storia è alla portata di tutti. Ma così non c’è il rischio di avere uno sguardo parziale sulla sua carriera e la sua vita, uno sguardo dove mancano gli aspetti privati che in fondo costituiscono una persona?
«Io ho preferito privilegiare il mio punto di vista per un paio di ragioni. La prima è che il mio punto di vista – in quanto tifoso romanista ma anche romano coetaneo a De Rossi – potesse rappresentare lo sguardo di molti altri tifosi. La seconda è che in generale quando si coinvolge uno sguardo “dall’interno” si finisce o per raccogliere aneddoti o per “riportare” un’interpretazione delle cose altrettanto parziale. Non mancano gli aspetti privati perché gli allenatori di De Rossi ne hanno già abbondantemente parlato, così come i familiari anche hanno lasciato dichiarazioni significative che ho potuto rielaborare. Idealmente sarebbe bello poter lavorare anche con i calciatori, oltre che con le persone che li conoscono, in maniera sincera e onesta nel rispetto reciproco, ma in realtà questo non avviene mai e tra un libro scritto “con” – un’autobiografia o una biografia “autorizzata” – e uno “senza” ci sono differenze così grandi che secondo me si tratta di generi totalmente diversi. E l’uno non esclude l’altro. Sarebbe bello, anzi, vedere un giorno la storia raccontata da De Rossi, il suo punto di vista, in collaborazione con uno scrittore ovviamente». 

Daniele De Rossi è come tutti noi: è tifoso, è rosicone, sbaglia cade e si rialza. Vedi in giro altri giocatori così, con i quali è semplice ed immediato immedesimarsi?
«Ce ne sono moltissimi. Della sua generazione basta pensare a come Gattuso anche da allenatore stia consolidando il suo legame con gli appassionati. Tra i calciatori più giovani c’è una tendenza maggiore a mettere in risalto i lati positivi del proprio carattere e gli errori vengono nascosti il più possibile, anche se poi paradossalmente in una cultura del genere sono proprio gli errori che finiscono per definire totalmente la persona. E va detto che le pressioni dei media spingono alla chiusura anche chi magari avrebbe una personalità da mostrare… Ci sono però splendide eccezioni, giocatori che si mostrano in tutta la loro complessità, penso a Rashford e alla sua lettera al Parlamento inglese e ad altri sportivi coinvolti nelle battaglie civili della nostra epoca (Maya Moore, per fare un esempio), a Griezmann che non ha mai nascosto la passione per i videogiochi, a Kyrgios che non ha mai nascosto i suoi difetti caratteriali ma che non vuole essere giudicato solo per quelli. Penso che oggi ci siano molti modi per rappresentare le persone che ti guardano, se hai un palco come quello dello sport di massimo livello».

I gol belli ma inutili, il palmares fermo al 2008, i nove secondi posti in campionato: De Rossi è stato un giocatore sfigato?
«Se per “sfigato” si intende “sfortunato”, un po’ sì. Se non altro perchè gli è mancato poco per vincere qualcosa in più. Ma non bisogna dimenticare che ha vinto un Mondiale giovanissimo e ha fatto la storia della Nazionale, oltre che della Roma. Quindi se per “sfigato” si intende anche “poco affascinante, che non ha i mezzi per provare a fare quello che vuole”, non sono d’accordo. I mezzi e le possibilità le aveva e ci ha provato fino in fondo, fino a una semifinale di Champions League quando aveva già più trent’anni; diciamo che non aveva quel talento che gli permetteva di catalizzare intorno a sé una serie di successi, o comunque la sua non è quel tipo di storia. In questo senso è più una questione di contesto, della Roma (di Roma) degli anni di De Rossi».

È difficile comprendere la Roma, il tifo per la Roma, Totti e De Rossi senza essere romani e romanisti. Credi che con questo libro il mondo giallorosso sia più accessibile a coloro che vivono “extra moenia”?
«Non lo so, anche se spero di sì. Non l’ho scritto certo perché lo leggano solo i tifosi romanisti, anche se ovviamente è diretto principalmente a loro». 

Nel raccontare la carriera di De Rossi e al contempo la storia della Roma dal 2001 al 2019, quanto hai raccontato di te? Quanto hai dovuto (ri)guardare a te stesso?
«Ho rivissuto quegli anni con uno sforzo di memoria incredibile, perché ricostruendo i pezzi di quelle stagioni passati sono riaffiorati moltissimi ricordi personali. Dov’ero, cosa facevo, come mi sentivo in quegli anni. Anzi molto di me è rimasto fuori, ma avrei potuto scrivere solo di quello. Ogni tifoso può rivivere la propria giovinezza riguardando ai risultati della sua squadra».

Ci racconti come funziona il processo di scrittura per te? Ti documenti e poi scrivi? Vai a memoria e poi verifichi? Segui un procedimento predefinito o ti guida l’ispirazione?
«Mi documento prima, molto. Poi però non aspetto di avere tutto il materiale possibile a disposizione, perché sono consapevole che mentre si scrive è sempre necessario fare altre ricerche. La storia che hai in mente ha bisogno di pezzetti di realtà che devi andare a cercare, anche se la realtà è il punto di inizio ed è necessario immergercisi prima (nel mio caso ci sono stato a bagno per vent’anni)».

Nel Daniele Manusia che scrive Daniele De Rossi o dell’amore reciproco si incontrano il giornalista Manusia e il tifoso Daniele. Com’è stato conciliare questi due aspetti della tua vita?
«Per me in realtà non fa nessuna differenza. Da un lato il tifo arricchisce il mio mestiere, perché è passione e conoscenza (quando scrivo di ciò con cui sono cresciuto, come in questo caso), dall’altro spero che le mie competenze e il punto di vista formato in questi sei o sette anni che scrivo quasi solo di sport mi aiutino a mettere tutto in prospettiva. Dall’altro lato tifo e mestiere si annullano: a forza di guardare e scrivere di calcio è impossibile partecipare agli aspetti del tifo più problematici e di parte (il tifo contro, la manipolazione della realtà per addolcirla a favore della squadra che si ama o per peggiorare quella delle rivali, le simpatie e le antipatie più superficiali) e per contro non ci penso neanche a diventare uno di quegli scrittori che sparisce dietro la materia raccontata, le mie passioni e il mio entusiasmo per questo sport – anche se scrivo di Atalanta, per fare un esempio,o persino di Lazio – premono sempre per uscire».

Tu e i tuoi colleghi de L’Ultimo Uomo siete stati definiti esponenti della «nuova scrittura sportiva in Italia». Ti ritrovi in questa definizione? Ti senti in effetti di portare qualcosa di nuovo nel panorama giornalistico-letterario?
«Se non sbaglio è una definizione di Jvan Sica, che non scrive sull’Ultimo Uomo ma è un bravissimo scrittore di sport che leggo sempre. E lo dico perché in realtà penso che sia una definizione in cui rientrano tutti i giovani scrittori di sport. Penso che la novità sia nelle molteplici diversità di approccio e stile, anche all’interno de l’Ultimo Uomo ci sono autori più letterari o tecnici o ironici e ognuno di loro porta una “novità”. Penso sia questo il modo sano di guardare al giornalismo o alla scrittura, senza contrapporre le generazioni. Se c’è una contrapposizione è a livello strutturale, per come funziona l’accesso al mestiere, ma è un altro discorso. Io leggo ancora Brera per cercare ispirazione, non penso di essere più “nuovo” di lui, anzi».

Hai dedicato 250 pagine al racconto di De Rossi. Ce lo racconti in una frase?
«Difficile… diciamo che Daniele De Rossi è stato il tipo di calciatore che ogni tifoso sogna di vedere crescere e invecchiare nella propria squadra, e il tipo di ragazzo e uomo con cui per qualche ragione tutti sono sicuri di poter andare a cena insieme».


Per leggere la recensione di Daniele De Rossi o dell’amore reciproco clicca qui.



Titolo:
 Daniele De Rossi o dell’amore reciproco
Autore: Daniele Manusia
Editore: 66thand2nd
Anno: 2020
Pagine: 256

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