Chiacchierata con l’autore di Il tiro da quattro

Dario Ronzulli è un giornalista sportivo che ha lavorato per Radio Sportiva e a RMC Sport, seguendo le grandi manifestazioni di pallacanestro. Oggi è conduttore di uno show su Radio Bologna Uno ed è radiocronista delle gare della Virtus Bologna, oltre a collaborare con Tuttosport, L’Ultimo Uomo e con Fantagazzetta. Ad agosto è uscito il suo Il tiro da quattro, libro che racconta la fantastica annata 1997-1998, segnata dallo scontro cestistico tra la Virtus e la Fortitudo Bologna. Proprio su questo libro è incentrata la nostra intervista.

Da dove nasce un libro così?
«Da un duplice desiderio: quello dell’editore, Alberto Facchinetti, di allargare al basket l’offerta di Edizioni InContropiede; quello mio di misurarmi con le modalità di scrittura del libro. Quando poi abbiamo dovuto scegliere un tema è stato semplice individuare quell’annata perché c’è tutto: pathos, emozioni, rivalità. Io ho fatto un saggio, ma c’è materiale abbondante per un romanzo. E preciso una cosa: a dispetto della copertina, non è un libro virtussino. Si parla di basket, di Bologna, delle bolognesi e anche di Roberto Baggio. Non è un racconto da un solo punto di vista».

Che tipo di lavoro hai dovuto svolgere?
«Ho rivisto tutti i dieci derby e molte altre partite di quell’anno, ho spulciato i giornali sportivi e non solo, ho recuperato i numeri di Superbasket. Ma soprattutto ho chiacchierato con tanti testimoni dell’epoca: giocatori, allenatori, dirigenti, giornalisti ma anche tifosi. La parte più difficile è stata senza dubbio quella di selezione del materiale: se avessi messo tutto, per la lunghezza del testo avrei potuto fare concorrenza al Guerra e Pace di Tolstoj!».

Vista la rivalità talmente pronunciata, sembra quasi inevitabile prendere le parti di qualcuno: tu sei per Myers o per Danilovic?
«All’epoca dei fatti parteggiavo più per Myers: avevo anche il suo poster in camera, era il mio giocatore preferito di qua dell’Oceano. Ma ci voleva un grande sforzo per restare impassibili di fronte al talento di Danilovic, al suo essere spietato quando contava».

Di tutti i protagonisti citati qual è quello a cui tu sei più affezionato e perchè?
«Abbio, Vidili, Bianchini, Brunamonti e Cappellari li porto nel cuore perché sono stati preziosissimi nel portarmi dietro le quinte e nelle dinamiche interne degli spogliatoi. Però se ne devo indicare uno scelgo il tifoso fortitudino che vestito da angelo è pronto a planare sul parquet al termine di Gara 4 per celebrare lo scudetto e invece resta lassù, sotto la volta del palasport di Casalecchio. Per quanto possa immedesimarmi non riesco a quantificare la delusione che deve aver provato, lui forse più degli altri compagni di tifo. Una roba tremenda».

Se dovessi citare un momento chiave di quella stagione, oltre ovviamente al tiro di Danilovic che da il titolo al libro, quale sceglieresti e per quale motivo?
«Rimanendo all’interno di Gara 5, l’azione successiva al tiro da quattro è l’emblema del caos mentale in cui la Fortitudo era caduta: David Rivers, esperienza ad altissimi livelli da vendere, che prende palla e si invola in uno contro cinque dall’altra parte del campo perdendo malamente il pallone. Allargando lo sguardo all’intera stagione, indicherei l’esonero di Valerio Bianchini prima dell’inizio dei playoff: bene o male la F con lui aveva raggiunto un equilibrio tecnico ma soprattutto di testa che con l’arrivo di Skansi perse senza più ritrovarlo».

Proviamo a fare un esercizio assurdo: se quel tiro non fosse entrato (o se Wilkins non avesse commesso fallo), fantasticando, cosa sarebbe successo secondo te?
«Ok, il tiro di Danilovic non entra. La Fortitudo vince il suo primo scudetto con due anni d’anticipo, dando un senso diverso agli investimenti faraonici di Giorgio Seragnoli. Rivers e Wilkins rimangono almeno un altro anno e alla squadra, sull’onda dell’entusiasmo, viene aggiunto un altro fuoriclasse dello stesso livello per tentare l’assalto all’Europa. Dall’altra parte la delusione per la Virtus ha vita relativamente breve: non ci si strappa le vesti e si va avanti per la propria strada, sebbene vedere i cugini festeggiare dà noia. Avendo vinto la sua prima Eurolega/Coppa dei Campioni la stagione rimane comunque positiva ma lo spirito di rivincita spinge ad altri corposi investimenti sul mercato. Con queste premesse siamo pronti a vivere un’annata, la 1998-1999, che si preannuncia memorabile».

La fine degli anni ‘90 e l’inizio degli anni 2000 per il basket italiano sono anni di alto livello e di grandi storie (la rivalità bolognese, la Treviso di Pittis, la stella di Varese, l’Italia di Tanjevic e i primi bagliori della tanto criticata Siena) c’è una storia tra queste, o tra altre, che ti piacerebbe raccontare?
«Il biennio azzurro 2003-2004, con il bronzo europeo miracoloso ma meritatissimo, con l’argento olimpico di Atene e con due partite entrate nella leggenda, ovvero la vittoria in amichevole contro gli USA di un giovane LeBron James e la semifinale a cinque cerchi contro la Lituania. Poi lo scudetto di Varese del ‘99, quello della stella, quello di una squadra apparentemente folle e tremendamente efficace. Infine la breve ma intensa epopea della Napoli allenata da Piero Bucchi che vince una Coppa Italia, gioca delle memorabili serie playoff, partecipa all’Eurolega e poi chiude mestamente i battenti».

Qual è il tuo giudizio sulla letteratura sportiva e sulla crescita che sta avendo ultimamente?
«C’è stato un netto cambio di approccio verso il genere, non più visto come un passatempo per delle nicchie ma è considerato degno di rilievo e di studio. Come sempre accade in questi casi non c’è stato un solo fattore scatenante ma un insieme di elementi che hanno portato ad una diversa visione. In Italia hanno pesato molto, a mio parere, il grande successo che hanno avuto lavori come Open, l’autobiografia di Agassi, o le opere di Federico Buffa sia televisive che teatrali. C’è voglia di raccontare storie di sport e c’è una gran voglia di leggere storie di sport: c’è solo da esserne contenti, anche perché in questo modo si possono elevare al rango che gli compete opere come La partita dell’addio di Nello Governato o qualunque scritto di Osvaldo Soriano. Ora il rischio semmai è di cadere nella troppa offerta, di sopravvalutare eventi forzandone il carattere letterario: un consiglio che mi sento di dare – anche a me stesso – è di selezionare con molta cura il tema per non ritrovarsi a dover improvvisare strada facendo».


Per leggere la recensione de Il tiro da quattro, clicca qui.


Titolo: Il tiro da quattro. Storia di un anno irripetibile a Basket City
Autore: Dario Ronzulli
Editore: Edizioni InContropiede
Anno: 2020
Pagine: 113

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