Intervista a Nicola Roggero

Chiacchierata con l’autore di Premier League
Nicola Roggero è nato a Casale Monferrato il 7 ottobre 1964. Cuore calcistico granata, è oggi una delle più note e apprezzate voci sportive italiane. Dopo aver scritto per importanti testate quali La Voce, Corriere della Sera e Tuttosport, è infatti approdato a Tele+, dove ha iniziato la sua carriera, che tutt’oggi prosegue a Sky, da telecronista. Specializzato soprattutto nel calcio inglese, è anche uno dei massimi esperti nostrani di atletica. Ha sempre considerato lo sport un hobby, ma «ho avuto fortuna di aver trovato qualcuno che mi paga per farlo», dice col sorriso. Resta invece una passione “non retribuita” quella per il cinema, sebbene abbia una piccola rubrica al riguardo su Radio Deejay. Premier League. Il racconto epico del calcio più entusiasmante di tutti i tempi, libro su cui verte l’intervista di seguito, è l’ultimo di Roggero, che in passato ha scritto anche L’importante è perdere. Storie di chi ha vinto senza arrivare primo (FBE), Anarchico Testabalorda (Scritturapura) e Caro nemico (Absolutely Free).
Personalmente, ho definito Premier League un libro «che mancava», perché spesso si parla del calcio inglese dimenticandone o non conoscendone la storia. È d’accordo che per capire la Premier di oggi sia necessario conoscere il calcio inglese di un secolo fa?
«D’accordissimo, come per tutte le cose. Per conoscere il presente è necessario sapere tutto del passato, del momento in cui si è partiti».
La narrazione, in molti passaggi più simile a quella di un romanzo, denota un doppio livello di studio da parte sua: mnemonico e di ricerca. Quanto c’è, nel libro, di entrambi questi fattori?
«Entrambe le cose. Tanti episodi e tanti personaggi li conoscevo ma è stato necessari un lavoro di approfondimento. Altri li ho appresi dalla ricerca».
Se dovesse scegliere «l’ombrellino nel long drink» (per citare una sua frase da “telecronaca”) del suo libro, quale sarebbe? In altre parole, qual è l’aneddoto o il personaggio che l’ha affascinata di più?
«Ne cito due. Uno che ho scoperto, ed è William McGregor, l’uomo che di fatto creò la Football League. L’altro è Brian Clough, che ovviamente mi era noto, ma ripercorrere la sua parabola è stato comunque esaltante».
A proposito di telecronache: una cosa che, personalmente, ho trovato particolarmente azzeccata nel libro è lo stile di scrittura. Nel senso che, leggendolo, pare proprio di sentire la sua voce. È stato difficile raggiungere questo livello di narrazione?
«Dico sempre una cosa: l’importante è essere sé stessi, provando ad attingere insegnamenti da quelli che si stimano ma senza provare ad imitarli. La naturalezza rende sempre le cose più facili».
Un bel pezzo di epoca del calcio inglese lei lo ha vissuto direttamente. Di quella precedente, invece, quale avrebbe voluto vivere in prima persona e raccontare al pubblico del tempo?
«Quella degli anni ‘60, l’epoca della Swinging London. Per dirla con George Best: “Tutte le partite alle 3 del pomeriggio del sabato, campi fangosi, freddo cane, botte da orbi. E alla fine una bella Guinness nella vasca dell’acqua calda”».
L’epica della Premier è un tratto particolarmente importante del calcio inglese. E che manca in Italia, ad esempio. Perché, secondo lei?
«Sarò schietto: basta guardare alle figure di molti dei presidenti dell’attuale Lega calcio e c’è la risposta».
Per molti, il campionato inglese è un vero spettacolo, per altri “solo” uno spettacolo. Insomma, c’è chi ne va pazzo e chi, invece, lo trova quasi un circo, dove la “scienza” del calcio è stata in buona parte sacrificata in favore del business. Lei come la vede?
«Non siamo ipocriti: la parte economica, con i vantaggi e le nefandezze che si porta dietro, è un tratto fondamentale. Per i dirigenti della Premier il campionato è un prodotto, da vendere come fosse un elettrodomestico o un automobile. Resta però una cosa: il rispetto dell’evento sportivo, il fascino degli stadi, la passione dei tifosi. E tutto questo è rimasto genuino, esattamente come un secolo e mezzo fa».
Lei ha scritto diversi libri, quindi quando si parla di letteratura sportiva ha uno sguardo decisamente più abituato del nostro. È un settore che sta vivendo un buon momento, in Italia. È più giusto parlare di alba della letteratura sportiva italiana o di rinascita?
«Il nostro è un paese che, tra i tanti difetti che ha, legge poco. E legge ancora meno di sport. Spero che in futuro il modo di raccontare lo sport, narrato tenendo conto del contorno storico, sociale e politico, abbia maggiore successo».
Pensa che, nonostante sempre più spesso anche la televisione stia prendendo la strada dello storytelling sportivo, ci sia ancora molto spazio per la letteratura sportiva?
«Sì, per le ragioni che ho esposto al punto precedente. Se si capisce che lo sport può raccontare un paese è fatta».
Ci saprebbe consigliare dei libri di sport che, a suo parere, meriterebbero assolutamente di essere letti?
«Da bambino lessi Storia critica del calcio italiano di Gianni Brera. Difficile fare meglio. Recentemente Il minuto di silenzio di Gigi Garanzini, straordinario nel raccontarci personaggi favolosi in sole 40 righe».
Oltre che di giornalismo, scrittura e sport, lei è anche un grande appassionato di cinema. Quali sono i punti di contatto tra questi mondi? E il cinema riuscirà mai a rendere onore a uno sport tanto popolare e ormai “spettacolarizzato” come il calcio? Perché, sino a oggi, dei molti tentativi fatti, pochi hanno fatto centro.
«I punti di contatto sono continui e il calcio al cinema non ha mai avuto troppo successo. Salvo solo Fuga per la vittoria di John Houston. Il mondo della celluloide si è concentrato soprattutto sulla boxe, per distacco il più affascinante dal punto di vista letterario e il baseball. Ma il mio preferito resta Momenti di Gloria e non solo perché riguarda la mia adorata atletica leggera».
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Titolo: Premier League. Il racconto epico del calcio più entusiasmante di tutti i tempi.
Autore: Nicola Roggero
Anno: 2019
Editore: Rizzoli
Pagine: 335