La vita del Trap, tra calci e fischi

Quanti italiani mettono d’accordo Inter, Milan, Juventus e Fiorentina, così rivali tra loro? Forse solo due: Giovanni Trapattoni e Roberto Baggio, simboli “super partes” del nostro calcio. E quanti compatrioti unificano Milano, Torino, Firenze, Monaco di Baviera, Lisbona, Salisburgo e Dublino, come in un grande Risiko sportivo? Stavolta la risposta è solo una: il Trap! Che non è la musica dei sobborghi ma un vero e proprio imperatore del pallone, capace di lasciare grandi ricordi in varie parti d’Italia e d’Europa. Ricordi sportivi ma non solo: Trapattoni, nato a Cusano Milanino nel 1939, ha vinto un po’ dappertutto raccogliendo nutriti consensi anche dal punto di vista personale. Il suo carattere spontaneo e il suo modo di fare pragmatico sono stati apprezzati in tutto il mondo. Così come le sue frasi a metà tra il saggio e il maccheronico: Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco, tradotta anche in altre lingue, è una delle più celebri. Ad essa rimanda il titolo dell’autobiografia composta assieme al giornalista Bruno Longhi, pubblicata da Rizzoli nel 2015.

Una celebre conferenza stampa di Trapattoni nel marzo 1998.

Affreschi.

Non dire gatto significa più o meno “non cantare vittoria finchè non la puoi toccare” ed è un’espressione che ha accompagnato Trapattoni in tutta la sua vita. Una storia che parte dalla Seconda guerra mondiale e arriva fino a giorni nostri. Il libro contiene cinquant’anni di calcio: è una sorta di museo cartaceo del pallone, in cui le pagine sono affrescate da grandi protagonisti e gesta illustri. C’è il Milan di Nereo Rocco e Gianni Rivera, in cui il Trap era centrocampista titolare. C’è la Juventus di Platini e del formidabile blocco azzurro, i vari Zoff-Cabrini-Gentile-Scirea-Tardelli-Rossi capaci di trascinare in cima al mondo anche la Nazionale. C’è l’Inter dei tedeschi Brehme, Matthaus e Klinsmann, fiera oppositrice del Milan “olandese” tra gli anni Ottanta e Novanta. O la Fiorentina di Batistuta e Rui Costa, bella ed incompiuta a inizio Duemila. E poi le esperienze all’estero: Germania, Portogallo, Austria, Irlanda. L’autobiografia scorre veloce e non tralascia nulla. Il racconto tocca anche i tasti dolenti come Cagliari, Stoccarda e la Nazionale italiana con cui, un po’ paradossalmente, il mister non è riuscito a togliersi le soddisfazioni sperate.

Umanità.

Le vicende si susseguono a ritmo sostenuto, quasi serrato, ma senza mancare d’intensità. Col supporto dell’amico Bruno Longhi, il Trap passa in rassegna eventi e personaggi della sua lunghissima carriera. Riporta qualche bell’aneddoto, come la volta in cui Beckenbauer, il Kaiser del calcio tedesco, gli cantò La donna è mobile in perfetto italiano. O come quando lui dovette inseguire il brasiliano Edmundo fin dentro un aeroporto. Non sono sempre state rose e fiori, con giocatori e dirigenti, e Trapattoni ne approfitta anche per tornare sulle sue scelte più difficili o togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Ogni piega del libro sembra riflettere un’umanità schietta, “pulita” ma non per questo superficiale. Nonché la singolare la passione di chi, fin da ragazzino, si sentiva al posto giusto «soltanto correndo avanti e indietro per il cortile a inseguire una vescica di maiale, oppure prendendo a calci una lattina di Simmenthal sulla strada da casa a scuola».

Perché leggere Non dire gatto di Giovanni Trapattoni (con Bruno Longhi):

perché è un libro scritto in maniera semplice ma godibile, anche per chi non è un grande esperto di calcio.


Titolo: Non dire gatto
Autore: Giovanni Trapattoni (con Bruno Longhi)
Editore: Rizzoli
Anno: 2015
Pagine: 297

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