Il mito di un eroe del Novecento

 
«Sia lodato Bartali»: una nota invocazione di fede trasformata in un’acclamazione sportiva. Potrebbe apparire blasfema, ma è semplicemente espressione di una realtà, quella degli anni Trenta e Quaranta, dove Gino Bartali era venerato da un’ampia fetta di popolazione italiana come una figura religiosa.

Stefano Pivato, storico e saggista, ha scelto come titolo per il suo libro – una riedizione aggiornata e trasformata di quello pubblicato nel 1985 – l’apertura che utilizzò il Giornale dell’Emilia il 24 luglio 1948 per celebrare la vittoria al Tour de France di Ginettaccio. Si celebrava il campione toscano ma non solo in quanto meraviglioso atleta, bensì anche – o forse soprattutto – in quanto modello di “atleta cristiano”.

La ventennale carriera di Gino Bartali – che esplose nella seconda metà degli anni Trenta con due successi al Giro e uno al Tour e proseguì nel dopoguerra con altri trionfi in maglia rosa e maglia gialla – è infatti sempre stata oggetto prediletto della propaganda cattolica. Ed è proprio su questo aspetto che si sofferma Pivato, con un libro ricco di documenti, dagli articoli di giornale alle vignette satiriche, che lo rendono un saggio di approfondimento su un personaggio che ha segnato un’epoca non solo sportiva della storia italiana.

Bartali contro il Superuomo.

Se volete conoscere la storia di Bartali, leggere delle sue imprese sportive e delle sue eroica gesta che lo portarono a salvare centinaia di ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, questo è il libro sbagliato. Perché questo libro si occupa di tutt’altro, si occupa di mettere in luce l’utilizzo fatto dai media cattolici e democristiani della figura del ciclista italiano. Così scopriamo che durante il fascismo Bartali era considerato l’incarnazione dei valori sportivi cristiani quali purezza, obbedienza, fortezza e costanza, da contrapporre alla propaganda del regime che esaltava lo sport come supremazia del più forte sul più debole attraverso la promozione di “superuomini” fascisti come Primo Carnera e Giuseppe Meazza. Negli oratori si esaltava “l’arrampicatore divino”, “il magnifico atleta cristiano”, “l’arcangelo della montagna”, e lungo le strade del Giro si trovavano preti e suore a tifare per lui, accostato sempre più ai santi e ai beati dell’apologetica cattolica.

Coppi il comunista.

Bartali era veramente un uomo di fede, iscritto all’azione cattolica, devotissimo a Santa Teresa di Lisieux e addirittura il compianto Oliviero Beha scrisse di lui che «non si capisce l’uomo se non lo si inquadra in una dimensione di Fede». E questa sua devozione fu utilizzata anche dopo la caduta del regime fascista, in un’Italia che viveva sulla contrapposizione tra DC e PCI. Proprio i comunisti passarono al contrattacco, definendo Gino “Il De Gasperi del ciclismo” e “il fraticello” e contrapponendogli come modello l’altro asso del ciclismo italico, Fausto Coppi. Il Campionissimo piemontese era cattolico ma assurse a campione del comunismo e della laicità contro il tradizionalismo cattolico, diventando il simbolo del moderno che schiaccia l’antico, ovvero Bartali, ovvero il cattolicesimo.

E cosi leggendo Pivato si impara che Gino Bartali non è stato solamente uno dei più grandi ciclisti di tutti i tempi, ma pure uno strumento di propaganda da guerra fredda. Protagonista di duelli sportivi ma pure di duelli politici.

Perchè leggere Sia lodato Bartali di Stefano Pivato:

Perché di Bartali si racconta spesso la leggenda, ma Pivato fa parlare la storia.



Titolo:
Sia lodato Bartali. Il mito di un eroe del Novecento
Autore: 
Stefano Pivato
Editore: 
Castelvecchi
Anno: 
2018
Pagine:
156

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