La storia dei calciatori professionisti nella Resistenza italiana

Recensione di Marco Giani


Parte molto bene, questo Cuori partigiani, libro di Edoardo Molinelli dedicato, come recita il sottotitolo, alla «storia dei calciatori professionisti nella Resistenza italiana»: sfatando cioè un mito, e ricordando la differenza fra storia dello sport e divulgazione sportiva spiccia. Se infatti «la storia ci insegna che i santini, tutti i santini, hanno poco senso di esistere» (perché «la realtà è sempre più complessa della leggenda, meno epica forse, di certo non meno intrigante», p. 10), ecco che l’autore parte dalla celeberrima fotografia scelta per la copertina: quella del 1931 in cui il faentino Bruno Neri, impegnato con la sua Fiorentina in una partita di coppa contro una formazione austriaca, tiene adeso al corpo il proprio braccio destro, mentre i compagni fanno il saluto romano d’ordinanza prima di iniziare a giocare. Ricostruendo la vicenda storica e politica di Neri, Molinelli mostra come il suo antifascismo emerse non tanto in quegli anni a Firenze (dove, alla corte del potentissimo marchese Ridolfi, decise piuttosto di tenere un prudente low profile), quanto successivamente durante il conflitto, aderendo attivamente alla Resistenza: «quel che è sicuro […] è che morì per i propri ideali sui monti, da partigiano. Ed è per questa sua testimonianza viva, reale e concreta, più che per un’immagine in bianco e nero (per quanto meravigliosa), che andrebbe ricordato».

Nella prima e più corposa sezione, l’autore ci fa conoscere le storie dei calciatori che appunto andarono sui monti per combattere attivamente con la Resistenza (il fisico sportivo in certi casi tornò molto utile, fra fughe dai Tedeschi e dai repubblichini e pesanti mitragliatrici da maneggiare); alcuni di loro dopo il 1945 vennero anche portati alla sbarra per quello che avevano fatto durante la lotta partigiana. Nella seconda sezione, più breve ma assai significativa, Molinelli narra invece le vicende dei calciatori oppositori politici e deportati. Il volume poi si conclude con due piccole appendici, la prima dedicata alle rare testimonianze di partite fra Tedeschi e partigiani nel periodo 1943-1945, la seconda alla Lucchese di Ernó Erbstein, che per una serie fortuita di coincidenze durante la stagione 1936/1937 poteva schierare la bellezza di 5 antifascisti dichiarati.

Un primo aspetto interessante del lavoro di Molinelli – accessibile a tutti e riassuntivo di molti studi storici monografici, citati con dovizia – è proprio quello di mostrare come, nonostante la propaganda del regime, durante il Ventennio ci fossero negli spogliatoi d’Italia dei minuscoli spazi di libertà, ove si annidavano sportivi che fascisti non lo erano per nulla. Si pensi al portiere della Lucchese appena citata, quell’Aldo Olivieri che da giovane aveva visto in faccia la morte fratturandosi il cranio durante uno scontro di gioco. I dottori «avevano usato trapano, bulloni e una lastra di ferro per risistemargli la testa», intimandogli ovviamente di abbandonare l’attività sportiva. Cocciuto, Olivieri era andato avanti, conquistando la maglia n° 1 della Nazionale, con la quale si laureò Campione del Mondo nel 1938, senza per questo venir meno alle proprie idee: «Io non sono mai stato fascista. Anche in Nazionale: mi adeguavo, ma non approvavo. Dei giocatori, soltanto Monzeglio era un fanatico in camicia nera. Anche Pozzo non confondeva la politica col calcio, e difatti faceva in modo che del Duce non si parlasse mai. Sì, eravamo obbligati a fare il saluto, a recitare, e io recitavo. Ma non ho mai preso la tessera: se si ama la libertà, non si può essere fascisti» (p. 225).

Molti dei calciatori che nel 1943 divennero partigiani, infatti, avevano giocato la maggior parte della propria carriera durante gli anni della dittatura: qualcuno era invece solo agli inizi, e avrebbe dato il meglio a fine anni Quaranta. Il lavoro certosino di Molinelli è appunto quello di annodare il filo della storia calcistica dei protagonisti dei vari capitoli con quello della loro vicenda da resistente, oppositore, deportato. Seguiremo così il cammino calcistico e poi bellico di Michele Moretti (membro del gruppo di partigiani che scovò Mussolini a Dongo), di Guido Tieghi (ex calciatore del Torino arrestato nel dicembre del 1948 con l’accusa di aver partecipato ad una strage “rossa”, e al quale gli ex compagni del Grande Torino scrissero una cartolina dal Portogallo, prima della loro tragica fine a Superga), di Ferdinando Valletti (calciatore veronese che sfuggì alla morte a Mauthausen accettando di giocare come “undicesimo uomo” durante le partite dei sorveglianti nazisti), di Carlo Castellani (la leggenda dell’Empoli che invece da quel campo di concentramento non tornerà mai), e di molti altri: ai lettori di Libri di Sport l’imbarazzo della scelta!

Perché leggere Cuori partigiani di Edoardo Molinelli:

per riscoprire, in occasione del 25 aprile, che calcio e lotta per la libertà possono andare a braccetto.



Titolo:
Cuori partigiani. La storia dei calciatori professionisti nella Resistenza italiana
Autore: Edoardo Molinelli
Editore: Hellnation (Red Star Press)
Anno: 2019
Pagine: 244


Per leggere la recensione a un altro libro di Eodardo Molinelli, dedicato alla selezione basca antifascista, clicca qui.

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