Chiacchierata con l’autore di Notturno Jugoslavo

Emanuele Giulianelli, nato a Roma nel 1979, è scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B. Notturno Jugoslavo, scritto assieme a Paolo Frusca ed edito da Les Flaneurs Edizioni, è la sua quarta fatica letteraria dopo: Marco Osio. Il sindaco, pubblicato dal 2016 da Officine Gutenberg, Il calcio è un pretesto, edito da Urbone Publishing nel 2017, e Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell’Europa, edito da Ultra Sport nel 2018.

Inizialmente voleva scrivere un libro sulla Crvena Zvezda, la Stella Rossa, come mai?
«Negli ultimi otto anni ho scritto tanto, pubblicato articoli di ogni genere, per riviste e siti più o meno prestigiosi, con tre libri all’attivo. Durante tutto questo tempo, mentre lavoravo a duemila progetti, un sottofondo mi ha sempre accompagnato, senza mai abbandonarmi: l’idea di scrivere qualcosa sulla fine della Jugoslavia e del suo calcio. Senza una forma definita, senza un disegno preciso, ma solo con l’idea di voler raccontare una squadra, la Stella Rossa, e una generazione salite sul tetto d’Europa e del mondo proprio quando il terreno stava franando sotto i piedi della nazione che rappresentavano. Così, in tutti questi anni, ho raccolto testimonianze delle più disparate, dagli ex calciatori, ai dirigenti delle squadre di calcio, dai musicisti ai politici, dai giornalisti ai professori universitari, raccogliendo una montagna di materiale con cui ho riempito ben più del consueto cassetto che è rimasto sempre chiuso, da un punto di vista progettuale, e si apriva solo per accogliere nuovo materiale».

«Tutto questo fino a quando non è arrivato Cristiano Carriero, col quale avevo parlato del mio progetto senza progetto, che mi ha proposto di cristallizzare quelle idee, di canalizzare quel sentimento e utilizzare quella montagna di materiale, per un libro da scrivere con il grande Paolo Frusca, noto autore de “L’ultima estate di Berlino”. Così, dopo varie vicissitudini, pause più o meno lunghe, condivisioni di molto più che parole sul calcio con Cristiano, Paolo e Alessio Rega, l’editore, è finalmente uscito quello che non esito a definire il mio libro della vita: Notturno jugoslavo. Romanzo di una generazione».

Che tipo di lavoro c’è dietro ad un libro del genere? Come le è venuto in mente un “personaggio” come Mirkovic e per quale motivo ha scelto tale soggetto?
«Un lavoro enorme. Ho la casa piena di faldoni con articoli di giornale di tutte le epoche e di tutte le provenienze, interviste realizzate con qualsiasi personaggio potesse aver toccato la storia della Jugoslavia, da uomini politici a scrittori, da professori a cantanti, giornalisti e, ovviamente, decine di ex calciatori e allenatori. Per Aca dovete bussare a casa Frusca: la genesi del personaggio è tutta sua. Io ho adattato il mio materiale, diciamo che gli ho confezionato un vestito il più possibile su misura».

Nella letteratura sportiva il genere del romanzo non è usuale, in quanto lascia spesso spazio alle biografie o a racconti di cronaca, lei invece ha deciso di raccontare la straordinaria e toccante storia di Aca Mirkovic scegliendo questo genere. Ha preso spunto da qualche altro testo e ha in mente qualche libro simile di argomento sportivo da suggerire?
«Nessuna ispirazione per la forma romanzo. A me, Paolo e Cristiano (regista dell’operazione) sembrava il modo che ci consentisse meglio di spaziare nella narrazione di quanto accaduto, ma soprattutto di non ridurlo a una cronaca di eventi. Quelli che dovevano emergere erano i sentimenti (forti, fortissimi), le emozioni estreme e un paradigma che, dal nostro punto di vista, diventa fondamentale nella narrazione di ciò che è balcanico: il calcio (e lo sport più in generale). Non credo esistano libri simili: esistono romanzi, ma nel nostro tutte le parole dei protagonisti (tranne quelle di Aca, personaggio inventato) sono vere. Persino, ma non voglio spoilerare, quanto dice Stipe Mesic, ultimo presidente della Jugoslavia unita».

C’è in ambito calcistico qualcosa di analogo all’amicizia tra Divac e Petrovic nel basket per spiegare ciò che successe prime e dopo il conflitto bellico slavo?
«Di un’amicizia così, nello specifico, non sono al corrente. Ma potrei indicare proprio la Stella Rossa del 1991 come esempio di convivenza, di unione serena e fattiva di personalità provenienti dalle varie repubbliche jugoslave, di amicizia che andava oltre le bandiere».

Qual è il calciatore slavo che più l’ha affascinato in passato e per quale motivo?
«Dragan Stojikovic, ça va sans dire. Posso dire che, una delle ipotesi a cui ho lavorato negli anni per dare una forma al mio progetto, come spiegavo nella prima risposta, era un libro che si intitolasse Dragan, in cui tutta la storia ruotasse intorno al protagonista Piksi, che vive l’enorme paradosso di essere un eroe della Zvezda che si trova, nel momento più alto della storia della squadra e dell’intera federazione, a disputare la finale di Coppa dei Campioni con la maglia avversaria. Talento, estro, Italia ’90 e quell’incredibile passaggio al Verona me l’hanno fatto amare. A casa ho un libro su di lui scritto in giapponese».

Secondo lei perché, nonostante gli innumerevoli talenti sfornati, la Jugoslavia calcistica dagli anni ’60 in avanti non è mai riuscita ad avere continuità di risultati?
«Per gli eccessi, per la mancanza di mezze misure tipica dei popoli della Jugoslavia. Il talento era addirittura troppo, non mediato da un po’ di controllo: genio e sregolatezza, mai luogo comune fu tanto vero».

L’espressione «una generazione salita sul tetto d’Europa e del mondo proprio quando il terreno stava franando sotto i piedi della nazione che rappresentavano» descrive alla perfezione quel drammatico 1991. Che cosa le ha offerto il confronto con le esperienze umane delle persone incontrate? Qual è la storia che l’ha conquistata di più e perché?
«Mi ha offerto molto, come si può immaginare: mi ha aiutato a capire, più di quanto non abbiano fatto i libri. O meglio, mi ha aiutato a portare nel concreto quanto letto sui libri, a darle una dimensione reale e quotidiana, fatta più di sangue e sentimenti che di cronaca. Tra le storie che ho raccolto, da un punto di vista sportivo mi hanno colpito molto (come mi accade sempre) le sincronicità: Piksi con la finale di Bari dall’altra parte del campo, il Cile, la morte di Tito durante la partita della Zvezda e molte altre. Da un punto di vista umano, mi ha colpito molto una frase che mi raccontò Marina Lalovic, giornalista di Radio3, e della sua infanzia a Belgrado: i bambini si accorsero che qualcosa stava cambiando quando, da un giorno all’altro, in classe hanno tolto la foto di Tito e hanno messo, al suo posto, l’immagine di San Sava. Oppure la testimonianza di Emilija Kokić, cantante dei Riva, il gruppo jugoslavo che vinse l’Eurovision Festival nel 1989 quando le ho chiesto perché la Jugoslavia è finita: è come un matrimonio in cui le parti non erano più felici, è finito l’amore mi ha detto».

Nel descrivere Notturno Jugoslavo lei lo definisce il suo «libro della vita», per quale motivo?
«Da un punto di vista prettamente legato alla scrittura, credo che il concetto sia stato ben spiegato nella prima risposta: anche se solo come idea, è il progetto che mi ha accompagnato, nella mia mente, da quando ho iniziato a scrivere. Da un punto di vista personale, il suo compimento mi ha dato nuovamente la sensazione di essere vivo, ha dato nuovamente un senso a quanto stavo facendo, dopo aver passato il momento più difficile della mia vita».

L’editoria sportiva è in crescita con pubblicazioni interessanti come la sua che aiutano a leggere nelle pieghe della storia politica, sociale ed economica di molti paesi. Che pensiero ha in merito alla letteratura sportiva? Ha qualche lettura specifica da suggerire?
«Lo sport è sottovalutato: non si è ancora compreso a pieno che è una straordinaria chiave di lettura di tutto ciò che è umano. Perché alla politica, alle relazioni sociali, unisce i sentimenti e le emozioni. La letteratura sportiva sta crescendo e questo è un bene. L’importante è che si punti a fare letteratura, appunto, e non a scrivere libri di gossip. Per l’ispirazione, a parte il nostro Notturno jugoslavo, consiglierei ovviamente Federico Buffa e l’inglese Jonathan Wilson».


Per leggere la recensione di Notturno Jugoslavo clicca qui


Titolo: Notturno Jugoslavo. Romanzo di una generazione
Autore: Emanuele Giulianelli e Paolo Frusca
Editore: Les Flaneurs Edizioni
Anno: 2019
Pagine: 230

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