Intervista a Giacomo Pellizzari

Chiacchierata con l’autore di Generazione Peter Sagan
Giacomo Pellizzari è scrittore, giornalista sportivo, ciclista amatore. È stato direttore editoriale di Bike Channel, canale di Sky dedicato al mondo a due ruote. Scrive per Cyclist. È socio di Upcycle, il primo “bike cafè restaurant” d’Italia. Il suo blog, Confessioni di un ciclista pericoloso, è tra i più letti dai cicloamatori. Ha pubblicato anche, per Utet, Il carattere del ciclista (2016) – tradotto anche in Olanda e Germania –, Storia e geografia del Giro d’Italia (2017) e Gli italiani al Tour de France (2018). Nel 2019 ha pubblicato presso 66thand2nd Generazione Peter Sagan un libro che racconta la nuova era cool del ciclismo.
Cos’è la “Generazione Peter Sagan”?
«Per Generazione Peter Sagan si intende una moltitudine variopinta ed eterogenea che forse, senza l’avvento dello slovacco sul pianeta ciclismo, non avrebbe mai avuto voce: parlo del popolo urban, dei ciclocrossisti, degli amatori, di chi la bici la usa solo per arrivare prima al lavoro. Cosa c’entra Sagan? Tutto».
Crede che Peter Sagan sia cosciente di essere il “frontman” di questa rivoluzione che lei racconta?
«No, o almeno credo lo sia solo in parte. Così come sempre i leader rivoluzionari: lo capiscono prima i “follower”. E poi Sagan più che la causa del cambiamento ne è l’effetto: è il sintomo, la punta di un iceberg che da troppo tempo aspettava di venire alla ribalta».
«La bici non è un cilicio ma uno strumento di pura goduria», afferma. Ma la popolarità del ciclismo è legata in gran parte anche alla sofferenza, alle imprese epiche, solitarie, disperate. E quando un ciclista scala il Galibier sul volto non ha dipinta la goduria, ma la fatica.
«Certo: come è capitato a me quest’anno durante la graffando Marmotte. Il Galibier è fatica pura, vero. Ma la fatica è goduria per chi va in bici. Diventa una forma di privilegio: pago per fare fatica, perché mi dà piacere, mi libera dalle preoccupazioni e dalle “fatiche”, quelle sì fastidiose, della vita di ogni giorno (lavoro in testa). La bici ci riporta alla nostra dimensione originaria, quella fisica. E per questo ci rende nuovamente liberi».
Da quando è diventato promotore di questa “Sagan way of life” ha raccolto solo consensi o ha dovuto fare i conti anche con resistenze da parte di amanti della bicicletta più legati alla visione tradizionale?
«Ho incontrato anche resistenze, come dite voi: perché a opporsi a un cambiamento di fatto già avvenuto (non andiamo più in bici come 30 o 40 anni fa, né più quegli anni torneranno, inutile piangersi addosso nostalgici) è chi oppone resistenza. Ma non sempre la “resistenza” è una buona cosa, nello specifico, nel ciclismo, credo l’essere rimasti ancorati allo stereotipo coppiano della fatica e della privazione abbia fatto più fatto male che bene. Brera oggi sarebbe il primo fan di Sagan (come del resto lo è il suo discepolo, Gianni Mura)».
«Cycling is the new golf»: ci spiega questa affermazione apparsa sull’Economist?
«Bike is the new golf: gli affari si fanno oggi in bicicletta, chiacchierando, non più sul green. Le bici, in particolare quelle da corsa, sono uno status symbol, altro che povertà e sacrificio!! Basta andare a Corvara sulle Dolomiti a inizio luglio, quando si svolge la Maratona dies Dolomites, la granfondo più famosa al mondo, per accorgersene. Dai Top Manager, alle figure di spicco della finanza italiana ma non solo, in prima fila. Anzi, in prima griglia».
Da una parte un vero e proprio boom di cicloamatori, dall’altro il ciclismo professionistico che fa sempre più fatica a fare ascolti in televisione e finisce sempre più in fondo alle pagine sportive dei giornali. Come si spiega questa apparente contraddizione?
«Il ciclismo professionistico è sì relegato sempre più nelle ultime pagine, ma il fenomeno di chi pedala arriva sulle prime: appunto “Bike is the new Golf”. Una rivincita in un certo senso, del mezzo più semplice e bello al mondo. La bicicletta. E di chi la “usa” realmente. Cioè noi, il popolo delle due ruote. La Generazione Peter Sagan. Non c’è contraddizione».
Tirando le somme: dovesse scegliere tra Pantani e Sagan, chi sceglie?
«Non posso scegliere. Sono due ciclisti completamente diversi: Pantani uno scalatore antico conservatosi fino all’epoca moderna, Sagan un funambolo, un po’ velocista, un po’ passista, un po’ finisseur, un po’ tutte queste cose; un ciclista che non c’era e che oggi invece sta diventando un nuovo prototipo: avete sentito nominare un certo Van der Poel?. Pantani è un eroe. Sagan è un messaggero. Pantani è tragico, Sagan è gioco. Non fanno lo stesso mestiere, non recitano sullo stesso palco, non vincono nello stesso sport».
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Titolo: Generazione Peter Sagan. Una rivoluzione su due ruote.
Autore: Giacomo Pellizzari
Editore: 66thand2nd
Anno: 2019
Pagine: 150