Una campionessa di sitting volley si mette a nudo

Il libro Volevo solo giocare a pallavolo parte, come ci si poteva aspettare, dall’incidente che a 5 anni fa perdere la mano ad una bambina molto vispa e attiva. Crescendo con una protesi, la piccola Silvia guarda rassegnata gli allenamenti di pallavolo della sorella Chiara, sospirando alla mamma: «Spero di trovare presto anch’io uno sport che riesca a fare!». Dopo un tentativo fallito con la ginnastica artistica, sarà proprio la pallavolo la disciplina scelta da Silvia adolescente, la quale per anni scenderà in campo con la propria protesi, fra la comprensione delle compagne e l’incomprensione di molti giudici, insicuri se potesse giocare in quelle condizioni. A 17 anni, però, un’allenatrice la umilia davanti alla squadra, dicendole «che quello non era il mio sport. Che quello non era il posto giusto per me. Che dovevo rendermi conto di questo e accettarlo. Dovevo, secondo lei, affrontare la realtà e cambiare sport». Silvia non molla la propria passione, e nell’incontro casuale col sitting volley (la pallavolo giocata a terra, che permette fra l’altro ad atleti normodotati e disabili di giocare assieme) trova finalmente la propria strada, tanto che dopo poco le si aprono addirittura le porte della Nazionale femminile, capace nel giro di pochi anni di conquistare un quarto posto ai Mondiali ed un argento agli Europei.

Un libro di squadra.

Senza entrare nel dettaglio dei successi e del cammino verso le Paralimpiadi di Tokyo (stop per la pandemia compreso), il libro, pur non così brillante come un Mi hanno regalato un sogno (2017) di Bebe Vio, si segnala per altre particolarità. Prima di tutto, ci racconta lo sport paralimpico da un’altra prospettiva, forse anche più interessante, quella cioè della squadra: nel corso delle pagine, Silvia incontra tantissime compagne, ognuna con la propria storia di disabilità (dovuta ad incidenti, ma anche a malattie spesso ancora non sconfitte definitivamente) e con la propria lotta interiore. Volevo solo giocare a pallavolo diventa quindi anche il racconto del making of di un team composto prima di tutto da donne che si danno una mano nei momenti di sconforto, che portano l’una il fardello dell’altra, che riescono persino a superare a distanza la delusione di una Paralimpiade rimandata di un anno a causa del coronavirus.

Una donna, non una ragazzina.

Una seconda differenza sta poi nell’età di Silvia, donna ormai matura che racconta i problemi e le questioni poste dalla disabilità nella propria vita quotidiana: le difficoltà sul posto di lavoro, in ufficio; le varie domande degli uomini coi quali ha avuto relazioni sentimentali; decidere come e quando mostrare la propria protesi alle bambine cui è chiamata a fare da allenatrice; l’iniziale vergogna quando accetta di posare nuda per una campagna ideata da Oliviero Toscani al fine di far conoscere al grande pubblico il corpo degli atleti paralimpici (imperdibile la reazione del padre, quando Silvia le fa vedere timorosa il risultato di Toscani!). Il tono scanzonato e spesso autoironico tenuto nella narrazione ci porta per mano dentro il mondo di donne sportive che hanno imparato ad accettarsi per quello che sono, e che vogliono trasmettere questo messaggio anche al di fuori della linea di campo, fino a … #rotolaretotokyo, come scrivono loro.

Perché leggere Volevo solo giocare a pallavolo di Silvia Biasi:

Perché «il segreto è non scoraggiarsi. E io non ho mai perso il coraggio».


Titolo: Volevo solo giocare a pallavolo
Autore: Silvia Biasi (con Antonella Stelitano)
Editore: Ediciclo
Anno: 2021
Pagine: 174

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