Le storie e gli intrecci di vite dei protagonisti di Italia-Germania 4-3


Tre pagine di bibliografia, più una con i nomi di giornali e riviste nelle cui pieghe degli archivi hanno cercato articoli, approfondimenti, tabellini. È nelle ultimissime pagine (quelle che spesso, in un libro, vengono invece dimenticate) che si nasconde la portata del lavoro di Alberto Facchinetti e Roberto Brambilla, autori di Quattro a tre (pp. 134, Edizioni InContropiede, 2020), l’opera che racconta la partita del secolo, quell’interminabile sfida tra Italia e Germania finita 4-3 e valida per le semifinali del Mondiale messicano del 1970.

Prima i fatti.

Quello di Facchinetti e Brambilla è stato un lavoro complicato. Perché Italia-Germania-quattro-a-tre (detto così, tutto d’un fiato) è ormai un’emozione, più che un ricordo. Chi c’era, rivive ancora ogni secondo di quei 120 minuti con gli occhi lucidi; chi non c’era, invece, ha solo l’imbarazzo della scelta: sono stati scritti libri, opere teatrali, sceneggiature di film, canzoni. È un tassello della storia, un momento fondamentale dell’epica sportiva nazionale e internazionale, consacrata da quella targa posta all’esterno dello stadio Azteca di Città del Messico che ricorda a tutti come lì, su quel palcoscenico, prese vita qualcosa di unico. Provare a scremare quel 4-3 del lato emotivo, del sentimentalismo nostalgico che inevitabilmente, a mezzo secolo di distanza, ammanta il tutto, non era facile. Ma ce l’hanno fatta. Certo, forse un pizzico di “cuore” in più avrebbe reso più completo e articolato un già ottimo lavoro, ma un vecchio adagio giornalistico ricorda come la cronaca, talvolta, non necessiti di alcun orpello stilistico per fare centro.

Le storie dei protagonisti.

Lungo le 134 pagine di Quattro a tre ci si immerge in un viaggio nel tempo. L’uso del presente narrativo coinvolge ed è saggio, dal momento che gli autori hanno deciso di rivivere quella partita attraverso tutti i possibili protagonisti immaginabili: gli autori dei gol ovviamente (in rigoroso ordine: Boninsegna, Schnellinger, Muller due volte, Burgnich, Riva e Rivera), ma anche gli allenatori, i giornalisti presenti, l’arbitro Yamasaki, il pallone, lo stadio. Per ognuno di questi protagonisti è stata fatta un’attenta ricerca, si ricostruiscono le storie e le vicende che li hanno portati fino a lì, se ne narrano con pulita semplicità (storytelling cosa?) antefatti e vicissitudini. I capitoli sono brevi e incisivi, non ci si perde in chiacchiere per dare spazio ai fatti. Ed a chiudere il cerchio alla perfezione c’è quel «cosa è successo dopo…» che per ogni protagonista di Italia-Germania-quattro-a-tre dipinge il finale voluto dalla storia. La perfetta chiusura di una parentesi che non meritava di essere lasciata aperta.

Giornalismo e narrativa.

Quattro a tre è un’opera che, pur nella sua linearità cronachistica e nella sua relativa brevità, centra l’obiettivo che probabilmente s’era prefissato: spiegare il perché e il come una partita è assurta a simbolo, emblema, bandiera di un’epoca che non c’è più. Facchinetti e Brambilla non si prendono la responsabilità di raccontare i contorni e le conseguenze di un evento tanto epocale dal punto di vista calcistico e culturale (come invece ha fatto un’opera che partiva, più o meno, dagli stessi presupposti, ovvero La partita di Piero Trellini, dedicata a Italia-Brasile dei Mondiali del 1982), ma si limitano a raccontare i fatti, andando però a raccogliere anche quella polvere narrativa spesso dimenticata, come la presenza di un giovane Bruno Pizzul al seguito dei tedeschi o all’anacronistico, se paragonato all’attualità, silenzio dei giocatori al momento degli inni. È un buon esempio di giornalismo prestato alla narrativa, un atto coraggioso di questi tempi.

Perché leggere Quattro a tre:

perché rende onore ai fatti che hanno trasformato in emozione uno dei momenti più belli della storia del calcio.



Titolo:
Quattro a tre
Autore: Alberto Facchinetti e Roberto Brambilla
Editore:
Edizioni InContropiede
Pagine:
134
Anno:
2020

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