Chiacchierata con l’autore di Cristiano Ronaldo. Storia intima di un mito globale

Fabrizio Gabrielli è vicedirettore de L’Ultimo Uomo. Ha scritto articoli e reportage per i blog di Finzioni, Edizioni SUR, Fútbologia e per le riviste Esquire, Footballista, Undici occupandosi di calcio e Sudamerica, spesso in combine. Nel 2012 ha pubblicato il libro di storie sportive Sforbiciate (Piano B Edizioni). Nel 2019 ha scritto per 66thand2nd Cristiano Ronaldo. Storia intima di un mito globale, libro a partire dal quale abbiamo realizzato la nostra intervista.

66thand2nd e L’Ultimo Uomo sono esempi di come si possa raccontare lo sport in maniera nuova più trasversale e dal di dentro (io nella recensione l’ho definita una sorta di moderna scuola des Annales): hai la percezione che la narrativa sportiva italiana stia cambiando?
«La percezione che ci sia una nouvelle vague è evidente. Già nei primi anni 2000 sono nati alcuni siti, come Lacrime di Borghetti o Fùtbologia, che offrivano un approccio molto letterario alla narrazione sportiva. Con il 2012/2013, grazie a L’Ultimo Uomo e Rivista Undici, in Italia è arrivato un genere di narrazione che rispecchia molto quella un po’ disincantata, divertente ma anche assai approfondita svolta da Grantland negli Stati Uniti. Certamente si sono molto differenziati i metodi: l’approccio all’argomento sportivo affrontato in modo storico e letterario si sposa alla perfezione con vicende e personaggi del passato, con ruoli ben definiti in determinati contesti sociali (uno di questi esempi è la vicenda della Coppa del Mondo giocata in Argentina nel 1978). All’interno de L’Ultimo Uomo convivono anime diverse che permettono di dar peso a tante tematiche utilizzando metodi diversi: sul sito puoi trovare pezzi di approfondimento statistico basati sui big data parallelemente a riletture storiche, legate al contesto sociale, commenti, e profili più letterari. Quest’aria nuova c’è e probabilmente si evolverà sempre di più. Da questo punto di vista 66thand2nd rappresenta editorialmente un po’ La Mecca per chi vuole raccontare lo sport in una certa maniera, senza che l’afflato saggistico soffochi o inibisca quello letterario. Certo, anche al suo interno ci sono metodi ed approcci al contenuto diversi. Noi de L’Ultimo Uomo abbiamo questo tipo di volontà: provare in qualche modo a contribuire alla scrittura sportiva, innovarne i linguaggi. Certo, chiunque ha voglia di fare delle rivoluzioni, ma purtroppo non si fanno dal giorno alla notte e soprattutto non in Italia. Il giornalismo italiano, soprattutto quando tratta di tematiche delicate, propone modalità di approccio molto diverse, probabilmente figlie di uno scarto generazionale. Probabilmente questa modalità di lettura dello sport con approcci pluridisciplinari è più di gente nativa digitale».

Ci sono alcuni libri, come Brilliant Orange di Winner, che sono veri e propri lavori didattici: come provocazione direi quasi che meriterebbero una materia scolastica o un corso universitario. Se a ciò aggiungiamo la modalità di trasmissione e di spazio data dai media alla vicenda Kobe Bryant emerge un concetto di sport ricco di valori. È ancora un hobby o si sta evolvendo in qualche cosa d’altro?
«Ti rispondo partendo da una cosa che mi ha molto colpito rispetto alla vicenda Kobe Bryant: quando è uscita la notizia, i lanci dei principali media italiani e non, parlavano della morte di Kobe mettendo giustamente ed inevitabilmente il focus su di lui. Per quanto mi riguarda c’è molto di più: su quell’elicottero Kobe ci è salito perchè stava portando la figlia ad allenarsi, era esattamente il posto dove un padre deve stare assieme alla figlia. Il fatto che non sia stato messo il focus sulla figlia è una questione interpretativa: lo sport, ecco, è un grimaldello interpretativo. Brilliant Orange è un libro che mi fa sempre molto piacere citare in quanto è un testo che ho sempre trovato molto vicino alla mia modalità di scrittura: c’è quella maniera di affrontare lo sport che piace a noi, che piace a me. Ad un certo punto del libro David Winner parla del sistema delle dighe come metafora di interpretazione della vita degli olandesi. In questo senso intendo dire che lo sport è un grimaldello di interpretazione della società: non è semplicemente un hobby, forse non lo è mai stato. Veniva interpretato così forse solo negli anni ‘60. Lo sport è divertimento, chiaro, ma non dovremmo mai dimenticare che è fatto da persone che hanno delle storie, che hanno dei retroterra e che quando si incontrano con la letteratura generano dei cortocircuiti pazzeschi».

«Io nel mio libro mi sono focalizzato molto sul contesto familiare di Cristiano Ronaldo e ciò è dettato dal fatto che volessi molto parlare di me. Avevo molte domande su CR7, ma successivamente ho realizzato di avere molte domande su di me: quando mi interrogavo sul rapporto di Cristiano con i figli e con il padre in realtà mi interrogavo molto sul mio rapporto con i miei figli e con mio padre. In questo modo ho scoperto molti punti di convergenza che mi hanno aiutato. Il libro infatti non nasce con l’intento di raccontare una storia, cioè sì ma non principalmente, o non esclusivamente: c’era anche l’intenzione di rispondere a delle domande. Io avevo tante domande su Ronaldo che in realtà erano domande, at large, sulla vita. Il soggetto CR7 è davvero un punto di riferimento così abbacinante, così enorme, così oceanico che ha all’interno tutte le risposte e le smentite alle risposte che volevo».

È possibile guardare al soggetto Cristiano Ronaldo con occhio critico? Prendiamo ad esempio quando ha sbeffeggiato Florenzi durante Roma-Juve della scorsa stagione: come si fa a non guardarlo per la maglietta che indossa e osservarlo in modo distaccato?
«Ronaldo è un personaggio massivamente divisivo. Quello che è avvenuto con Florenzi alla fine dello scorso campionato è stato uno dei momenti più distopici che abbia vissuto allo stadio. Quando è successo io ero in piena ossessione CR7 e sono così andato a vederlo: al momento del gesto si è sbracato lo stadio. Io l’ho osservato ed in quel momento non mi è sembrato arrogante come a Madrid: se andate a rivedervi le immagini lui ha subito dissimulato, sorridendo quasi a dire “visto ho fatto l’arrogante, ma in realtà sono cambiato!”. Cristiano ha scelto l’Italia come mossa distensiva nei confronti della percezione che si ha di lui. Dovendo scegliere, posto che sarebbe stato difficile scegliere una squadra più divisiva del Real Madrid, ha scelto una squadra per la quale sapeva che molti tifosi l’avrebbero guardato con ammirazione critica. CR7 in Italia può suscitare antipatia ai tifosi di Napoli, Fiorentina, Roma, Inter e Milan, ma poi c’è una pletora di 12 squadre che si incazzano se non gioca (vedi quello successo lo scorso anno per Genoa-Juve). In realtà lui vorrebbe che tutti lo guardassero in modo critico e lo giudicassero per quello che è, ovvero il più forte giocatore del mondo. Il problema è che è complicato guardarlo sotto quel prisma proprio perché, per sua stessa natura, è divisivo. Lui nasce divisivo e non riesce ad essere se non così, nonostante parta da presupposti opposti: lui lo fa cercando di essere ecumenicamente adorabile e finisce per essere detestabile che è pazzesco, ma è esattamente quello che succede con lui».

Cristiano, per come appare quotidianamente, è il soggetto più vicino a sfidare tutto (le leggi della fisica, l’età anagrafica e Dio stesso): tu che ti sei imbevuto di Cristiano così approfonditamente pensi che ci sia un’Itaca per lui? In sostanza: a cosa anela Ronaldo?
«Mi piace molto l’immagine dell’Itaca in quanto mi sto quasi convincendo che chissà, forse potrebbe pure farlo un passo del genere: lui ha sempre dichiarato che finirà di botto di giocare e la mia idea è che finirà quando avrà vinto in maniera eclatante l’ultima cosa che dovrà vincere. Ultimamente però si stanno facendo un po’ di ipotesi di ritorno allo Sporting: tornerà? Non so se tornerà, sarebbe poetico certo ma in fin dei conti ha portato la sua narrazione talmente oltre che è uscito dalla sfera, è uscito dal circuito della pista polistil, in cui tutto si chiude e trova compimento, come in un karma. Ha portato talmente all’estremo la sua narrazione che può soltanto salire, or die trying come si dice. L’obiettivo è vincere la Champions League con la Juventus. Cristiano ci proverà finchè il fisico gli reggerà e, secondo me, continuerà a farlo anche quando il fisico non gli reggerà più, ma ci proverà salvaguardandosi soltanto per fare quello. Le ultime dichiarazioni rilasciate vanno proprio in quella direzione (“Vorrei giocare solo le partite di Champions e con la Nazionale”). Non sono così sicuro che fra 5 anni non staremo ancora parlando di quanto CR7 sia ossessionato dalla vittoria e di quanto la prossima Champions possa essere alla sua portata».

Una volta terminato il libro è cambiato il tuo rapporto con Ronaldo? Come?
«È cambiato veramente tanto: io prima di scrivere il libro non ho mai avuto una grande ammirazione, l’ho sempre osservato perchè guardavo il Real Madrid per ragioni di lavoro e di interesse e non avevo nemmeno letto le biografie. Intorno a Ronaldo avevo un sacco di domande che prima o poi avrei voluto affrontare. Per spiegarti il mio rapporto con Cristiano ora lasciami usare una metafora giovanile: è come quando hai una storia intensa con una ragazza e, quando la storia finisce, non riesci a fare a meno di guardare le stories che lei posta su Instagram. Segui perché senti che per un momento della tua vita quel rapporto è stato essenzialmente molto importante e perché in fondo ti ha affascinato. Io ho scoperto che il fascino del male che provavo prima in realtà si è mitigato, anche se permane. Ronaldo è un personaggio molto interessante da osservare più fuori dal campo che in campo dove è super meccanico e la sensazione che ti può trasmettere è di superiorità, supremazia e di essere uno dei 10 giocatori più forti della storia. Il mio punto di vista è cambiato come cambia su qualsiasi persona che diventa focus di una storia che racconti. Ad esempio io sto seguendo molto anche Tim Weah, che ora gioca nel Lille in Francia, perché mi è capitato di scriverne e spesso capita che i personaggi ti colpiscono per quello che dicono e tu li segui per vedere se ti riservano delle sorprese».

La scelta di dialogare direttamente con Cristiano, con anche riferimenti alla tua vita privata e famigliare, da dove nasce?
«Una volta ho letto una frase di Milan Kundera che dice che in fondo “scrivere è essenzialmente scrivere di sè stessi”, se questo aggiungiamo che io ho una spiccata predisposizione a raccontare i cazzi miei sempre eccoti spiegati i principali motivi. La verità è che questo libro è difficilmente catalogabile perchè rientra in tutte le categorie di libri sportivi e non rientra in nessuna categoria (ha dentro anche il reportage che necessariamente ti porta a parlare in prima persona). L’esposizione in prima persona è una cosa che io faccio spesso, anche sui pezzi che scrivo per L’Ultimo Uomo. Mettersi al centro, più che rispondere a una volontà di ombelicalità, a volte è funzionale a farti trovare la giusta prospettiva. Una volta stavo discutendo con Daniele Manusia (direttore de L’Utimo Uomo, ndr) sul fatto che avevo un sacco di problemi a scrivere un articolo su Salvador Cabañas (giocatore paraguaiano vittima nel 2010 di una sparatoria nella quale ha rischiato la vita, ndr). Daniele mi disse “se tu hai dei problemi fai in modo che essi siano il traino del tuo racconto”. Attualizzando questa frase al libro su Cristiano, ho provato a psicanalizzarmi ed ho pensato che in quel momento storico avevo molta voglia di trovare delle risposte e di espormi, il che significa anche parlare dei cazzi miei. E i cazzi miei erano anche il veicolo per creare empatia con il lettore, la stessa empatia che io cercavo con Cristiano. Nel libro ci sono anche dei momenti dove do del “tu” a Ronaldo, cosa che mi è stata rimproverata, etichettata come sbagliata ed arrogante. Io invece non volevo assolutamente passare per irrispettoso, bensì stavo proprio cercando di creare un rapporto empatico. Ho scelto di dargli del “tu” perchè ci sono momenti in cui lo sento padre come lo sono io, figlio come son figlio io e persona che cerca di intessere la narrazione di sè stesso, che è in fin dei conti quello che cerco di fare io».

Ci racconti un po’ del metodo di lavoro usato andando a Madeira?
«Ero incuriosito da tutto quello che avevo sentito su Madeira, sull’albergo e sul museo ecc. Riccardo Serrado, ex direttore del museo dello Sporting, mi ha organizzato una fittissima agenda per quei tre giorni, mettendomi in contatto con moltissime persone. Non ho fatto nient’altro che svolgere il ruolo del giornalista: un tempo infatti ti mandavano sui posti ad incontrare persone, oggi purtroppo non è più così. Andare a visitare Madeira e parlare con le persone ti fa capire com’è realmente: diversa dagli speciali che vediamo in Tv dove sembra che tutti lo venerino, anche a Madeira Cristiano genera divisioni».

Se dovessi suggerire 3 libri di sport quali suggeriresti?
«Anzitutto direi Angel with dirty faces di Jonathan Wilson che è un libro molto dettagliato da un punto di vista di ricostruzione storica, nonostante tra l’Argentina e l’Inghilterra, patria di Wilson, storicamente non corra buon sangue.
Poi direi un libro che deve ancora uscire che è il libro che sta scrivendo Daniele Manusia per 66thand2nd su Daniele De Rossi in quanto lo ritengo un libro fondamentale per capire Roma per chi abita fuori da Roma attraverso gli occhi dei due Daniele. Invece a livello di narrativa nuda e cruda direi Il Maledetto United di David Peace perchè ha una modalità di narrazione pazzesca soprattutto nella scelta del personaggio».

Se dovessi scegliere un soggetto di cui scrivere, chi sceglieresti?
«I miei amori più grandi sono i personaggi figli di divinità minori, gente che vive alle propaggini del mondo e ha delle storie pazzesche ma didascaliche di parti di mondo, o epoche: non solo campioni, ma anche progetti di campione naufragati, o personaggi sfortunati. Ovviamente di loro continuerò a scrivere, ogni volta che potrò. Ma se la domanda punta a un’altra direzione, se mi stai chiedendo su chi vorrei scrivere un libro, ti direi che per chiudere la mela platonica mi piacerebbe raccontare l’altra metà, complementare a Cristiano Ronaldo nell’ultimo quindicennio di storia calcistica. Ma ci sono troppi indizi nei miei interessi, nelle cose che scrivo e per cui impazzisco, affinché non ci abbia pensato già pure tu che avrei risposto Leo Messi».


Per leggere la recensione di Cristiano Ronaldo. Storia intima di un mito globale clicca qui.


Titolo: Cristiano Ronaldo. Storia intima di un mito globale
Autore: Fabrizio Gabrielli
Anno: 2019
Editore: 66thand2nd
Pagine: 232

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